top of page
  • Immagine del redattoreMarco O. Avvisati

La New York City di Jean Michel Basquiat a Roma al Chiostro del Bramante dal 24 marzo


Jean-Michel Basquiat. New York City

Roma - Chiostro del Bramante, Via della Pace

INFO: Tel.. + 39 06 915 19 41 - Web: www.chiostrodelbramante.it


A quasi trent’anni dalla sua morte, la poetica di Basquiat (1960-1988) esprime ancora un forte senso di contemporaneità, forse perché i demoni impressi nelle sue tele, dai quali scappava e che al tempo stesso rincorreva, sono anche un po’ i nostri. Fino al 2 luglio 2017 il Chiostro del Bramante celebra il suo genio ribelle esponendo una selezione di opere provenienti dalla Mugrabi Collection, una delle raccolte di arte contemporanea più vaste al mondo. “Jean-Michel Basquiat. New York City”, questo il titolo dell’esposizione, è una retrospettiva – non una mostra antologica- che racchiude circa 100 lavori tra olii, acrilici, disegni, serigrafie e ceramiche. Di particolare interesse, una serie di opere nate dalla collaborazione con Andy Warhol e una collezione di piatti in ceramica dove l’artista rappresenta ironicamente artisti e personaggi di varie epoche storiche. Per l’occasione il Chiostro del Bramante ha cercato di ricreare una sorta di atmosfera underground ideando il percorso espositivo come se fosse una stazione metropolitana, con tanto di sottofondo di un treno in arrivo tra un piano e l’altro. Ovviamente la dimensione graffitara di Basquiat, che coincide con l’inizio della sua parabola artistica, non è rappresentata nell’allestimento che parte dal 1981. Un anno di svolta.


“E’ cool avere vent’anni ed essere arrivati mentre centinaia di giovani artisti vanno lasciando le diapositive dei loro lavori qua e là (…) ma la crassa volubilità del mercato degli speculatori può avere un effetto deleterio sulla futura carriera dell’artista (…). Qui non si tratta più di collezionare arte , ma di comprare individui. Non è un pezzo firmato SAMO. E’ un pezzo di SAMO” (Renè Ricard in ‘Artforum’, 1981- passaggio tratto dal saggio curatoriale). Questa recensione del poeta e critico d’arte R. Ricard mette i brividi, è una vera profezia, considerato che il giovanissimo Basquiat, che allora si firmava SAMO© (SAMe Old shit), si era appena affacciato nel mercato dell’arte di New York con una mostra collettiva dedicata al graffitismo americano. L’occhio del critico però, e non solo, punta su di lui. Rabbia e talento si fondono nella sua arte istintiva che si discosta fin dagli esordi da ogni regola formale, persino dal graffitismo stesso. E sa bene Ricard che il nuovo mercato dell’arte ha bisogno di un artista come Basquiat e di una poetica di strada come la sua. Anche se l’artista è molto più di una banale dicotomia tra genio e sregolatezza. Ma poco importa. Sono gli anni dell’edonismo, non c’è tempo per le analisi. Le nuove avanguardie americane sono al centro dell’interesse di collezionisti e uomini d’affari che dispongono di quantità di denaro mai viste prima.

BASQUIAT AND ANDYWARHOL, JEAN-MICHEL 2362 B343 / W1003 Untitled (Two Dogs) 1984 Acrylic and silkscreen ink on canvas80 x 106 in


I nuovi ricchi cercano le emozioni forti di quel mondo underground che in teoria li detesta. Amano recarsi nel loft di Basquiat, vederlo all’opera, in mezzo a ogni tipo di droga con la musica sparata a tutto volume e il televisore perennemente sintonizzato sui canali dei cartoon. Ricard scrive la sua recensione nel 1981 e da quella mostra collettiva la carriera di Basquiat entra in un periodo d’oro -nel vero senso del termine- parallelamente alla fine di quello spirito di condivisione tipico della cultura graffitara. Ben presto ognuno andrà per la sua strada. Samo però non si trova lì per caso. L’immagine del ragazzo di colore prelevato dai quartieri maleodoranti di New York e gettato in pasto allo star system è solo uno dei numerosi tentativi di banalizzare una storia complessa e piena di contraddizioni. La sua era una famiglia di estrazione borghese. Dormire sui cartoni e frequentare gli ambienti underground del graffitismo è una sua scelta consapevole. “Papà, un giorno diventerò molto, molto famoso” aveva detto diciassettenne al ritorno di una delle frequenti fughe da casa.

un allestimento della mostra

Quell’idea fissa diventerà un progetto perseguito con arguzia durante la fine degli anni settanta. Frequenta gli ambienti del graffitismo ma tiene a marcare la sua individualità taggandosi con una corona e con il marchio del copyright insieme all’amico writer Al Diaz. Una trovata che faceva il verso al consumismo e agli status symbol di quegli anni. Quei rebus, quella strana poetica di strada nei suoi graffiti , distribuiti ad arte nei pressi delle gallerie emergenti. Sa come muoversi il giovane Samo che nel frattempo sbarca il lunario vendendo magliette e spille dipinte a mano. C’è una contraddizione in tutto questo? Desiderare la recognition di quel mondo dorato del quale denuncia la banale superficialità? Forse. Non sarà l’unica. All’apice del successo Basquiat sarà anche l’artista con i vestiti sporchi di vernice, firmati Armani e pieni di dollari. Forse le sue sono le contraddizioni di una decade, gli anni ottanta, dove il mercato entra prepotentemente nel mondo dell’arte e la contamina inevitabilmente. Forse le sue sono semplicemente le contraddizioni di un ragazzo della sua età. Del resto lui ammira i suoi fratelli afroamericani che ‘ce l’hanno fatta’, i protagonisti della rinascita black che si sono guadagnati una effettiva cittadinanza attiva fino a quel momento appannaggio dei bianchi. Diventare famoso è l’unico modo che conosce di avvicinarsi a loro.

un allestimento della mostra

In fondo Basquiat non è un profeta, è un artista. La sua è stata una rottura senza precedenti con la tradizione pittorica. Nessuna avanguardia si era spinta così “oltre” il limite dei canoni riconosciuti dell’arte figurativa. Non ha una preparazione accademica alle spalle. Non finisce gli studi presso la City As School, liceo per ragazzi di talento che trovavano difficoltà nei percorsi tradizionali. E’ un autodidatta insomma, ma con una grande preparazione culturale di base. Da bambino, durante la degenza a causa di un incidente, la madre gli porta un libro di anatomia: Gray’s Anatomy . E ‘un punto di svolta. Da quel giorno comincia a leggere di tutto, appassionandosi in particolare di storia e di scienza. E poi c’è la passione per la musica, forse l’unico punto di contatto con il padre, grande collezionista di album Jazz. Fonda anche una band con la quale si esibisce al Mudd Club e in altri locali. Insomma la sua vera scuola, come sottolinea il curatore della mostra Gianni Mercurio “è il mondo contemporaneo, la cui sovrabbondanza di stimoli si rivela nei lavori dell’artista come stratificazione, spesso evidente anche nelle sue opere polimateriche, nella pluralità dei temi e nelle variazioni stilistiche. Numerose suggestioni inoltre gli derivano da alcuni dei suoi libri preferiti”. Già, i libri. Alla sua morte ne troveranno migliaia nella sua stanza.


BASQUIAT, JEAN-MICHEL 2674 B350 Glassnose 1987 Acrylic on canvas 66.125 x 57 in.

La sua più grande capacità è dunque quella di filtrare, attraverso la sua estrema e intima sensibilità artistica, i numerosi stimoli della nuova società del bombardamento mediatico -con tutte le sue contraddizioni- ma anche della storia, della musica, dei fumetti, della tradizione africana. Un mix di cultura alta e metropolitana. Al centro di questa esigenza vi è l’uso della parola che usa “contestualmente come segno grafico e come significante, la sottopone a manipolazioni, a giochi di parole o la riduce a semplice prelievo” (cit. saggio curatoriale). Serve a formare il contesto, a ritmo di hip hop, dei suoi tratti infantili, viscerali, tribali. A volte usa materiali di scarto per rendere unica e vissuta la sua opera. Spesso gli capita di dormire, mangiare, segnare numeri di telefono sulle sue creature. Il suo è un mix di astrattismo, figurativismo neoespressionista, art brut, primitivismo e perfino action painting come evidenziano alcuni sgocciolamenti delle tele. Chiamatelo pure eclettismo. Impossibile incasellarlo in una corrente artistica, era una contraddizione vivente. Alla semplicità disarmante di affermazioni del tipo “ Io espressionista? Beh l’arte deve esprimere, una cosa o l’altra” aggiungeva un attimo dopo la raffinata analisi circa la “rozzezza”delle sue teste rappresentate sulla tela : “Di persone rifinite non ne ho mai conosciute. La maggior parte della gente di solito è rozza”.


BASQUIAT, JEAN-MICHEL 2014 B272 Five Fish Species 1983 Acrylic and oil stickon canvas mounted on wood supports -three panels 66.875 x140.5 in. overall Nelle sue opere, figure scheletriche e maschere in chiave tribale che rappresentano la caducità della vita, gli autoritratti scuri del suo disagio esistenziale, le figure leggendarie ma anche dell’eroismo di strada e legate all’identità nera. Frequenti, quasi ossessive, le rappresentazioni dell’anatomia umana, richiamo più o meno cosciente al libro di Henry Grey regalatogli dalla madre . E poi la musica, la compagna della sua vita. Nei suoi dipinti , che si alternano ai disegni, affronta diversi temi sociali legati soprattutto all’emarginazione e ai soprusi subiti dalle persone di colore. Spesso il contesto è quello urbano della grande speculazione edilizia degli anni ottanta, con le insegne, le sirene d’ambulanze, i poliziotti e i bambini che giocano nelle pozzanghere formate dagli idranti. Alla componente espressionista, nel corso degli anni , si aggiunse anche quella di una rivisitazione del primitivismo che portò la critica a chiamarlo “il Picasso nero”. Tuttavia, come spiega G. Mercurio “Diversamente da alcuni artisti che cercavano nel primitivo una suggestione, senza preoccuparsi troppo di andare a fondo, la preoccupazione di Basquiat è proprio quella di far emergere un’arte delle origini del popolo nero. Filtrata però attraverso la sua esperienza, la sua quotidianità. Inserisce memorie dell’infanzia e immagini dei suoi eroi neri dello sport e della musica, soprattutto jazz”.

BASQUIAT, JEAN-MICHEL 0190 B61 Untitled (Bicyclist) circa1984 Acrylic and oilstick on canvas 80 x 106 in

Dal 1984 partono le cosiddette collaborations con Francesco Clemente e soprattutto Andy Warhol che rappresenterà per lui un punto di riferimento importante, quasi paterno. Tuttavia la critica descrive l’ingresso di Basquiat nella Factory come un’operazione puramente commerciale definendolo come la “mascotte” di Warhol. Poco importa se dal dialogo tra due artisti profondamente diversi – istinto vs. organizzazione – nascesse qualcosa di obiettivamente interessante come testimoniano alcuni lavori che potrete vedere esposti alla mostra. La vittima sacrificale era stata già scelta da tempo. Jean Michel – lo chiamiamo così perché in questo periodo sono i demoni del ragazzo ribelle di Brooklin a farsi avanti – non riesce a metabolizzare il voltafaccia della critica che sembra perdere sempre di più interesse per lui. Quella recognition che cerca dalla critica travalica evidentemente il discorso artistico. Forse avrebbe dovuto cercarla dentro di sé, nell’infanzia passata ad inseguire un padre che definì emotivamente assente, mancanza che la madre con problemi psichici non era riuscita a compensare. Recognition dal mondo per le sue origini africane che viveva con grande orgoglio e senso di appartenenza ma al tempo stesso con la paura di non essere accettato, persino dalle donne che amava.

B​ASQUIAT AND ANDYWARHOL, JEAN-MICHEL 1712 B232 / W884 Thin Lips 1984-85 Synthetic polymer paint and silks creen ink on canvas

L’uso di droghe pesanti lo rende paranoico e decide di rompere il sodalizio con Wharol, anche da un punto di vista umano. Alla morte del genio della Pop Art, avvenuta nel 1987, per la complicazione di una banale operazione, cade in una profonda depressione che lo porterà alla morte per overdose, un anno dopo, a soli 27 anni. Nelle sue tasche, un biglietto aereo per l’Africa.

Alla mostra vi consigliamo di soffermarvi particolarmente su Back of the Neck (1983) dove Basquiat rappresenta un corpo smembrato. In alto domina sospesa una corona. Il corpo è fatto a pezzi , la regalità è immortale.






Vademecum:


Informazioni e Prenotazioni + 39 06 915 19 41


ORARI DI APERTURA :

Da lunedì a venerdì 10.00 – 20.00 / Sabato e Domenica 10.00 – 21.00 (la biglietteria chiude un’ora prima) –Aperture straordinarie : Domenica 16 aprile 10.00 – 21.00/Lunedì 17 aprile 10.00 – 20.00/Martedì 25 aprile 10.00 – 20.00/Lunedì 1 maggio 10.00 – 20.00/Venerdì 2 giugno 10.00 – 20.00/Giovedì 29 giugno 10.00 – 20.00 ((la biglietteria chiude un’ora prima)

BIGLIETTI : Intero € 13,00 (audioguida inclusa)/Ridotto € 11,00 (audioguida inclusa)/ Ridotto Gruppi € 10,00


19 visualizzazioni0 commenti

IAM Contemporary art è una iniziativa curata e prodotta dalla associazione MADE Artis Comunicatio che ne detiene tutti i diritti

www.madeartis.org

© 2014 by MADE Artis Comunicatio

via Larga 25 Bologna - Italia

  • Facebook Clean
  • Pinterest - White Circle
  • Twitter Clean
  • White Instagram Icon
  • White LinkedIn Icon
bottom of page