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Immagine del redattoreMarco O. Avvisati

BIZZARRO E SURREALE: L'ELEFANTE NELL'ARTE



Non è certo un animale comune eppure l'elefanta ha esercitato sempre un grande fascino sull'uomo e per questo l'erte ne ha celebrato forme e virtù nel corso dei secoli.

È l’animale terrestre più grande del mondo. Simbolo di saggezza, di pazienza e persino di castità. Lento, buffo, ma anche potente e, quando gli gira, pericoloso e aggressivo.

Sarà per questo che l’elefante è stato raffigurato senza soluzione di continuità nell’arte di ogni epoca. E forse è proprio un elefante il più antico oggetto artistico mai prodotto dall’uomo. Talmente antico (è datato a 35.000-40.000 anni fa) che non si tratterebbe nemmeno di un elefante ma del suo antenato, il mammuth.

Elefante Mammuth Vogelherd


Sempre in età preistorica non mancano rappresentazioni più recenti (si fa per dire) incise sulle pareti di tante caverne sparse per il continente africano.

Elefante Arte Rupestre


L’elefante doveva essere in tutta l’Africa preistorica una presenza talmente comune che se ne trovano tanti esempi anche nell’arte egizia, soprattutto in epoca pre-dinastica (nell’età dei faraoni, quando il clima divenne più secco, si spostarono verso sud).

In questo caso si tratta di tavolozze per cosmetici realizzate in pietra e sagomate secondo la forma stilizzata di un elefante. Su questa tavoletta veniva polverizzato il pigmento a base di galena e malachite usato per truccare gli occhi con uno spesso contorno nero.

Elefante Tavolozza Egizi


Qualche raro esempio è presente anche nella produzione artistica della Mesopotamia.

Elefante Mesopotamia


La comparsa degli elefanti nell’arte greca avviene soprattutto in età ellenistica. Alessandro Magno fa coniare una gran quantità di monete e medaglie con l’immagine dell’elefante dopo aver affrontato questi animali negli scontri con il re persiano Dario I. Sull’altro lato della moneta si può trovare un arciere, il suo ritratto di profilo o la testa dell’amato cavallo Bucefalo.


Ma gli elefanti da guerra erano una realtà consolidata in India e la prospettiva di doverne affrontare migliaia nella sua avanzata verso est portò Alessandro a ritornare a Babilonia. Qui formò un suo esercito di elefanti che utilizzò con successo nelle battaglie successive.

Elefante Monete Greche


Dalla Grecia la figura dell’elefante transitò nel Mediterraneo. Sappiamo che Annibale attraversò le Alpi con 37 elefanti (morti quasi tutti di freddo) e che Filippo V di Macedonia usò gli elefanti da guerra contro i Romani. Attrezzati con una torretta sulla groppa, questi elefanti da combattimento sono spesso raffigurati in piccole sculture in terracotta.

I Romani rappresentarono spesso questo bizzarro animale, che inizialmente li aveva terrorizzati, con le più svariate tecniche. Molti sono i mosaici con la cattura dell’elefante, con l’animale isolato o con la lotta tra il pachiderma e un felino.

Elefanti nei Mosaici Romani


Dal mosaico alla scultura il passo è breve… ed ecco apparire l’elefante nei grandi sarcofagi monumentali con il trionfo di Dioniso (II d.C.), completamente decorati in bassorilievo.


A differenza di tanti soggetti dell’arte classica, l’elefante non scompare affatto nel Medioevo. Anzi, in quanto animale bizzarro e straordinario, ha riempito pagine e pagine di bestiari e codici miniati. È piuttosto evidente che siamo lontanissimi dal realismo della scultura romana: gli illustratori medievali, probabilmente, di elefanti veri non ne avevano visti mai!

Elefanti nel Medioevo


L’unico elefante giunto in Europa di cui si ha notizia è quello che Carlo Magno si fece regalare dal califfo Harun al Rashid. Un bellissimo esemplare, chiamato Abul Abbas di cui, però, non restano immagini dell’epoca ma solo un affresco dell’XI secolo.

L'Elefante Abul Abbas


Intanto nelle aree orientali a religione induista erano già molto diffuse le immagini di Ganesha, il dio dalla testa di elefante, uno tra i più potenti e per questo oggetto di grande adorazione.

elefanti ganesha


Elefanti interi decorano spesso le pareti esterne dei templi indù.

Elefanti dei templi Indu


Ma torniamo dalle nostre parti, nel Basso Medioevo. L’elefante compare nella scultura non più come animale da guerra ma come simbolo di tenacia in alcune chiese romaniche di tutta Europa, dalla Francia alla Spagna, fino alla Puglia.

Elefanti nella architettura romanica


Anche il Rinascimento avrà il suo bravo elefante passato alla storia. È Annone, l’elefante bianco di papa Leone X, dono del re del Portogallo Manuele d’Aviz. In questo caso ne abbiamo delle raffigurazioni fatte da un artista d’eccezione, quello stesso Raffaello che in quegli anni lavorava a Roma alle Stanze Vaticane.

L'elefante Annone di Raffaello


Sempre della prima metà del ‘500 è l’affresco che Rosso Fiorentino ha dipinto nella Galleria di Francesco I al Castello di Fontainebleau. Qui l’elefante reale è allegoria della forza e della prudenza del re.

L'elefante di Rosso Fiorentino


Torna a richiamare l’elefante da guerra la grande scultura cinquecentesca del Sacro Bosco (o Parco dei Mostri) di Bomarzo. L’animale, ispirato a quelli di Annibale, porta sulla schiena la tipica torretta da combattimento e sorregge con la proboscide un legionario romano esanime.

L'elefante dei giardini di Bomarzo


Della stessa epoca è un altro elefante da battaglia, ancora più fantasioso. Quello della grande tela di Hieronymus Bosch, il maestro olandese misterioso e visionario. In un accampamento caotico, tra mille particolari pieni di simboli, campeggia il pachiderma sormontato da una buffa torretta uscita direttamente da una favola.

L'elefante di Bosch


Ma andiamo avanti nel tempo. Siamo nel 1629, siamo in Olanda e il principe di Orange, come già Carlo Magno, desiderava avere un elefante e altri animali esotici per sfoggiare il suo potere. Dallo Sri Lanka (allora l’isola di Ceylon) arrivò ad Amsterdam, nel 1633, Hanksen, un’elefantessa indiana più volte disegnata da Rembrandt attraverso schizzi tanto rapidi quanto efficaci.

L'elefante di Rembrandt


Un’usanza, quella dell’elefante come attrazione di corte, che Giandomenico Tiepolo racconta in un suo disegno del 1797.

L'elefante del Tiepolo


Ma torniamo al Barocco e alla scultura con l’elefantino ideato da Gian Lorenzo Bernini nel 1667 per papa Alessandro VII e collocato in piazza della Minerva, a Roma. Qui l’animale, che torna a significare sapienza e solidità, porta sul dorso un obelisco egizio rinvenuto un paio d’anni prima in un convento.

L'elefante di Bernini a Roma


Settant’anni dopo, l’idea di Bernini (a sua volta ripresa da un’immagine della Hypnerotomachia Poliphili, un romanzo del ‘400) sarà riproposta dall’architetto siciliano Giovanni Battista Vaccarini per la famosa fontana dell’Elefante di piazza Duomo a Catania. Nell’ambito della ricostruzione barocca della città dopo il devastante sisma del 1693, Vaccarini sistemò sopra un elefantino in pietra lavica di origine bizantina (conosciuto dai Catanesi come “u liotru“) un obelisco che era stato portato a Catania durante le crociate.

L'elefante Liotro Vaccarini


Del 1820 è un’incisione di Francisco Goya che vede l’elefante come mai prima di allora. Intitolata “La follia degli animali”, mostra il pachiderma minaccioso, con lo sguardo spiritato mentre punta verso alcuni personaggi sulla sinistra. Altro che saggezza!

L'elefante Goya


Ormai è finita l’epoca dei simboli. Con l’Ottocento l’elefante smette definitivamente di rappresentare la forza, la castità e tutti gli altri attributi che nei secoli gli erano stati affibbiati. Ora è oggetto di studio più che altro formale. Eadweard Muybridge, ad esempio, lo immortala in una delle sue tante cronofotografie (1884) per poterne studiare l’andatura.

L'elefante di Muybridge


Con l’inizio del Novecento l’elefante finisce nel giro dell’Art Nouveau e dell’Art Deco e si ritrova a diventare un pesante fermacarte in vetro nelle mani di René Lalique o una sculturina in bronzo nei lavori di Rembrandt Bugatti.


L'Elefante L'alique Bugatti


Ma ormai l’elefante è pronto per una nuova vita. Con Alexander Calder, alla fine degli anni ’20, diventa di volta in volta una sagoma vuota in fil di ferro o un ammasso di materia appena sbozzata.

L'elefante per Calder


Nel 1941, con il cartone animato di Walt Disney, diventa Dumbo, l’elefantino volante. È la sua prima versione surreale: l’animale pesante e goffo per antonomasia che diventa leggiadro come una farfalla.

L'elefantino Dumbo di Disney


A questo punto è gioco facile per Salvador Dalì recuperare i vecchi elefanti con obelisco e farli avanzare sopra sottili zampette di ragno…

Gli elefante di Dalì


Un elefante surreale è un elefante atletico, leggero. Come quello di questo delizioso corto del 2004, capace di volteggi degni del miglior ginnasta.


Negli ultimi tempi è tutto un fiorire di elefanti surreali. La maggior parte sono immagini digitali di grande effetto.

Non mancano scatti fotografici spiazzanti… o estremamente poetici come quelli di Greg Colbert.

L'elefante secondo Colbert


Insomma, c’è una quantità di elefanti nell’arte davvero impensabile. Evidentemente è un animale-icona; un bestione che continua ad affascinare con le sue forme così particolari. Non è un caso che sia stato stilizzato in decine e decine di marchi…

l'elefante nei Loghi


Ma ci sono anche molte sculture contemporanee a base di elefanti! Lontane anni luce dall’esempio di Bernini, ci consegnano delle versioni assolutamente originali. C’è l’elefantino di Keith Haring, decorato con i tipici motivi, che sembra essere stato richiamato da quello di Banksy. C’è l’indiana Bharti Kher col suo elefante fiacco e poi c’è Maurizio Cattelan con “Not afraid of love”, un elefante che si nasconde spaventato sotto un lenzuolo bianco.

Ma il nostro preferito è quello di Daniel Firman, un elefante capovolto che si regge sulla proboscide. Un vero equilibrista, una sfida alla gravità e alla nostra pigrizia visiva. Un’installazione sorprendente in quello stesso castello di Fontainebleau dove abbiamo già incontrato l’elefante di Rosso Fiorentino.

L'elefante di Firman


È un elefante decisamente bello, “bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio…” come diceva Max Ernst a proposito dei quadri surrealisti. Bello come è bello ogni oggetto che ci fa sorridere e ci riporta alla gioia primitiva dell’infanzia.


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