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COSA RENDE UN MUSEO DI SUCCESSO


I musei, sono comunemente percepiti come realtà a "bassa intensità" al cambiamento dei tempi, ed in parte questo è vero dato che una parte di loro hanno anche una funzione di custodi e conservatori; e dall'altra i musei stessi si trovano nella parte finale di un ciclo creativo di un artista o di un momento artistico. Limitandoci a queste due visioni, i musei parrebbero vivere di una sorta di "rendita di posizione" e che le differenze tra questi si limitino alla qualità e quantità delle collezioni permanenti disponibili, degli impianti, e delle mostre ospitate, ognuno nella propria area di competenza. Se così fosse allora non si comprenderebbero le politiche di investimento e comunicazione e la forte concorrenza che i musei si fanno tra loro, magari non formale, ma certamente sostanziale, e la loro continua ricerca di maggiori successi. successi che non sono solo dal botteghino.




NON SOLO NUMERI



L'elemento di concorrenza e competizione tra i musei non può essere sul patrimonio materiale di cui dispongono nelle loro collezioni, perchè questo è unico e fortemente caratterizzante per ciascuno di essi, ma sulla loro parte attiva e le speculazioni che di quel patrimonio fanno. Sotto questo punto di vista il ruolo e le scelte dei direttori e dei curatori è determinante e questo ha portato nel tempo ad una divesificazione che va dal museo "custode" con grandi collezioni permanenti che occupano la gran parte delle loro attività, basti pensare ai musei dedicati a singoli artisti come Van Gogh a musei "contenitore" che ospitano collezioni permanenti ridotte ed una gran quantità di mostre temporanee, come ad esempio il nostro MAXXI; tra gli uni e gli altri c'è tutta una gamma di gradazioni di ruoli ed offerta, di grandi e di piccoli che vanno interpretati e gestiti perchè abbiano successo. La competizione tra musei non è tra questi, ma tra i loro direttori, curatori e proprietari delle collezioni. I musei quindi sono non solo dei custodi dell'arte che posseggono ma, attraverso le scelte d'uso che di queste si fanno dei produttori di cultura, di politica e di economia. Ma come misurare la capacità e l'efficacia con cui viene interpretato questo ruolo? Il botteghino è certamente un dato da tenere in considerazione.


Storicamente, i numeri dei visitatori sono stati usati come la metrica standard per misurare il successo di un museo, anche se la maggior parte delle presenze nei musei, da un punto di vista puramente scientifico, non sono affidabili, visto che i dati vengono forniti dal museo stesso o da agenzie collegate o poco efficienti. Va qui ricordato che gli incassi al botteghino, solo in eccezionali casi coprono e qualche volta superano le spese correnti di cui un museo necessita; in oltre misurare i successi di un museo dai biglietti staccati è una operazione che ha il difetto di partire dalla fine: il numero di presenze, deve essere il risultato di un processo di scelte che le renda oltre che numerose, anche stabili, continuative e che generino indotto, ed in ultima analisi, per un museo (e non solo) non va dimenticato che è pur sempre una istituzione, il successo non è dato tanto da quanto raccoglie, ma dai semi che pianta.

I musei non sono quindi degli "emettitori di biglietti" ma dei veri e propri attori e produttori quantomeno nei campi della cultura e della conoscenza, appare chiaro che i parametri prevalenti da tenere in considerazione per la valutazione di uno od una serie di loro sono altri.


Come in tutti gli ambienti competitivi, emergono anche delle distorsioni; non sono purtroppo rari i casi in cui qualche museo, o più precisamente qualche direttore, proprio perché all'inseguimento della propria affermazione personale e numerica sul mercato, abbia proposto grandi mostre, di grande richiamo di pubblico e che abbiano anche riscosso notevoli risultati di presenze e ritorno di immagine; peccato che si sono rivelate spesso delle "cattedrali nel deserto" o fiammate di breve durata: la grande mostra, una volta finita ha depauperato le casse del museo con i suoi costi e la programmazione successiva ne ha risentito sia in qualità che in quantità dilapidando gli sforzi fatti ottenendo spesso un effetto boomerang sul museo stesso ed il suo ruolo.




MUSEI CUSTODI E MUSEI CONTENITORE



Una delle osservazioni più frequenti che vengono fatte a chi sostiene un maggiore dinamismo nelle gestioni dei musei si basa su due elementi chiave quali il fatto, che come abbiamo detto, i musei sono spesso custodi di un patrimonio ed altrettanto spesso sono di proprietà pubblica, entrambi elementi certamente caratterizzanti almeno in Italia. I musei sono attori culturali e quindi strettamente legati al tempo presente ed al suo evolvere, ed anche quelli con forti connotazioni di custodia dovrebbero essere popolari e del popolo, generando dibattito, posizionandosi, grazie al patrimonio esclusivo che detengono, nel mezzo della nostra società. Il patrimonio di un museo non è quindi vincolo, al massimo una caratterizzazione, e comunque una opportunità, anzi una grande opportunità. Quando si dispone di un grande patrimonio, di grandi ricchezze, il bivio sta sempre tra il prediligere la via della conservazione del patrimonio, e lo sviluppo di questo, agendo con intelligenza in quell'ampio spazio di opportunità che sta tra avarizia e prodigalità.


Disporre di un patrimonio di antichità non significa esporre antichità o qualcosa di "morto", ma significa avere la grande opportunità di dimostrare che la storia è complessa, ricca e viva e di legare quel patrimonio al tempo presente, guardando il futuro facendo interagire la collezione, su argomenti che siano rilevanti per la nostra società di oggi. Un esempio in questo senso, in Italia, è il Museo Egizio di Torino che dispone notoriamente di una collezione ricca ma lontana dalla nostra storia, come la collezione degli Uffizi (altro bell’esempio) entrambe queste gestioni, sono di successo, non solo per la qualità delle loro collezioni, ma perché mettono queste in costante confronto con il tempo presente, e le biglietterie, di conseguenza, gli danno ragione.




TRA ISTITUZIONE E SPONSOR



Se l'arte ha la grande capacità di unire le persone il problema sta nel decidere chi sono queste persone ed ovviamente ciò è condizionato da chi è che fornisce finanziamenti. Nei paesi occidentali la maggior parte delle collezioni permanenti dei musei hanno un prezzo del biglietto (quando non sono gratuite) incapace di coprire gli alti costi di gestione che questi necessitano, quindi dipendono dall’intervento pubblico, in qualche caso integrato da sponsor privati, vi è quindi la ragionevole aspettativa che questo denaro pubblico sia destinato al bene pubblico, diffuso e poco selettivo. Le presenze numeriche, come misura comprensibile, è una cifra che ha senso sotto questo punto di vista, ma il bene pubblico, non si misura solo in numeri ma in efficacia.


L’intervento pubblico è quindi si essenziale che vincolante per vita di un museo, ma le recenti crisi che si sono susseguite nei paesi occidentali, hanno portato negli ultimi 20 anni la finanza pubblica, a contrarre i propri investimenti nel sostegno dei musei e più in generale in arte e cultura; non vogliamo argomentare qui questo dato, ma ciò ha richiesto ed al tempo stesso aperto spazi all’intervento di sponsor privati per sostenere le attività di produzione museali, quando non sono stati gli stessi privati ad inaugurare propri musei. Oltre che per ragioni di carattere fiscale, i privati hanno un interesse forte nell’abbinare il proprio nome al museo ed alla cultura per ragioni di immagine. Questa presenza, ormai irrinunciabile, ha avuto un sicuro impatto sulla scelta del pubblico a cui indirizzare l’offerta dei musei. Il determinare chi sia il pubblico e cosa vuole è ovviamente un argomento scivoloso.




C'È PUBBLICO E PUBBLICO



Recentemente in un importante museo di Londra, specializzato in ritratti e finanziato con fondi pubblici e privati è stato al centro di un dibattito significativo in tal senso quando i contatori automatici di presenze hanno mostrato che c'era stato un drastico calo del numero di visitatori da quando aveva ospitato una serie di mostre temporanee di artiste contemporanei donne. Gli stessi contatori segnalavano però un sensibile innalzamento della durata media della presenza dei visitatori e la risonanza pubblica sui media e social media per le stesse mostre era schizzata alle stelle. Questi dati hanno fatto concludere che il programma di arte contemporanea risuona più con il mondo dell'arte che con il pubblico, ma anche che in termini se in termini di biglietti c’è stato un sensibile calo, questo ha corrisposto ad una altrettanto sensibile crescita in termine di immagine e comunicazione e questo ha posto il tema se l’interesse dell’investitore pubblico coincidesse con quello privato.


La presenze come sono uno strumento chiave per creare impatto, il che ma questo deve servire per avere un effetto sulla vita delle persone, educarle, creare una potente esperienza, per cambiare la storia dell'arte o per espandere e regolare i canoni della percezione. Soprattutto quando la partecipazione è legata ai budget, ci possono essere pressioni per programmare grandi successi commerciali, che sono spesso mostre dedicate ai grandi maestri o quelli imbalsamati dagli effetti della celebrità (vedi l'indagine annuale internazionale sulle presenze di The Art Newspaper). L’arte è Politica e fa Politica, commerciale per gli sponsor come abbiamo visto, ma anche non commerciale per le istituzioni pubbliche. I direttori dei musei dovrebbero essere cauti nel rafforzare i pregiudizi strutturali di fondo, ed in particolare in tempi difficili, ad avallare le pulsioni del momento per rincorrere il plauso del datore di lavoro o del pubblico, sopratutto quando le conversazioni politiche e culturali sono in una fase di sensibile coagulazione come in questo periodo in Europa. Uno dei musei più importanti della Polonia, il Centro europeo di solidarietà a Danzica, sta combattendo i tentativi del ministero per la cultura del paese per renderlo meno indipendente. La disputa si concentra principalmente su come il museo dovrebbe presentare il ruolo del Paese nell'Olocausto. Non dimentichiamo che la serie di mostre sull’arte definita degenerata, messe in scena dai nazisti nel 1937 erano spettacoli sensazionalistici che attiravano grandi folle, ed erano essenzialmente i proto-blockbuster.




LA GRANDE GUERRA DEI DIRETTORI



I Direttori ed i Curatori godono di una posizione di privilegio nella nostra società per leggere i cambiamenti; dispongono di importanti capitali di partenza rappresentati dalle collezioni permanenti, possono inserire queste nel tessuto sociale attraverso le mostre temporanee, possono accedere ed in parte svincolarsi dalle pressioni commerciali degli sponsor e viceversa da quelle pubbliche compenetrando le une con le altre, ciò gli permette di osservare ed interpretare con un certo grado di autonomia agendo tra produzioni sperimentali e produzioni più popolari. Una buona partecipazione dovrebbe essere l'obiettivo di tutte le mostre. Qualsiasi curatore che presenti un'esposizione sapendo che le persone non vorranno vederla non dovrebbe essere un curatore. Ma allo stesso tempo, una mostra che non abbia nulla da dire o che ricicli messaggi stanchi da dire ai visitatori di oggi del museo non dovrebbe nemmeno essere pensata. Se i musei pubblici non sono strumenti per i curatori per indulgere nelle loro fantasie private, questi non sono nemmeno enciclopedie da far sfogliare perché i direttori conservino il loro posto di lavoro.


Il pubblico va coltivato, consolidato ed arricchito non solo attirato, questo è un processo lungo e che può essere fatto solo con profonda lucidità e consapevolezza; nella giusta misura il pubblico può essere accompagnato con una programmazione accorta, mantenendo alti i numeri delle presenze ed aumentando gradualmente la specializzazione delle mostre; questa è la sostanza del mandato di un Direttore. Saper inserire nel proprio calendario mostre che non raggiungeranno un pubblico vasto ma di qualità, mostre che lasciano il segno non al botteghino ma nella memoria, sono i tasselli fondamentali del mandato di un direttore, perché se non lo fa, in realtà tradisce le cose fondamentali che è chiamato ad affrontare o le persone che dovrebbe servire. Esistono poi mostre che per loro natura, soffrono l’eccesso di pubblico, e non per questo hanno meno valore, basti pensare alle performances, alle istallazioni od alle opere “immersive”, oppure più tradizionalmente alcune mostre troppo affollate, perdono il loro senso, anche se di qualità, lasciando al visitatore la sensazione spiacevole di aver pagato il biglietto per partecipare ad una fila all’ufficio postale, con l’effetto boomerang sulle mostre successive che lo stesso museo proporrà.


Sempre più importante per i direttori di musei di tutto il mondo sono i tipi di pubblico che li visitano; come museo si può decidere di voler attirare un diverso gruppo di visitatori, il che potrebbe portare a un calo dei numeri, ma non è detto che questo non sia un effetto voluto e positivo in alcuni casi. La partecipazione da sola è semplicemente una misura troppo approssimativa per essere significativa, è più importante delle numerose presenze il grado di soddisfazione dei visitatori, anche in termini commerciali, quando i visitatori diventano parti interessate ed attive, partecipi alle attività del museo, si crea una forma di consolidamento del pubblico che da una parte garantisce una continuità alla biglietteria e nello stesso tempo si fa parte attiva nel promuovere il museo, di cui si sente parte, verso altro e nuovo pubblico.


I musei devono fare anche i conti con l’avvento di Internet, che alcuni immaginavano potesse livellare i musei tra loro a causa della grande accessibilità alle informazioni e diffusione orizzontale dell’attenzione; la realtà è stata invece che le persone sono in gran parte attratte dalle stesse cose e non per la qualità della proposta, ma a causa degli algoritmi, che creano hotspot. I grandi musei, fanno grazie attività diretta sul web, con applicazioni ed offerte che gli permettono di aumentare la già alta capacità attrattiva. A concorrere nella sfida trai musei è certamente il poter contare su alcuni elementi di ricchezza “passiva” da sfruttare nella capacità di proposta; basti pensare ad esempio al Guggenheim che ha edifici a New York, Bilbao e Venezia che sono attrazioni turistiche di per sé; il pregio esclusivo di un edificio di livello mondiale che attrae il pubblico offre un altro tipo di flessibilità, così come le opere “gioiello” e famosissime di alcuni musei, da sole attraggono pubblico; un bacino di visitatori che rappresentano una ricchezza disponibile e pronta per offrirgli nuove opportunità.




TRA SODDISFAZIONE PUBBLICA E CASSA



Indipendentemente dalle dimensioni o dalla ricchezza dell'istituzione, cresce la consapevolezza della necessità di coltivare relazioni durature con i visitatori. La frequenza è una misura molto semplice, anche se non misura il successo, piuttosto appare più significativa la fedeltà del pubblico nel lungo periodo, ma ciò che appare più interessate come misura è la viscosità: una unità di misura che rivela quante volte le stesse persone visitino il museo, quanto tempo vi passino per guardare, vivere e pensare all’arte. Il successo di un'istituzione è quando ha costruito un pubblico, quando il pubblico vuole tornare per scoprire nuovi nomi, nuovi artisti, nuove idee e seguire i fili e il pensiero delle persone che stanno concependo e realizzando quel programma. Se i visitatori non vivono un'esperienza che sentono significativa, allora i numeri non dureranno.

Il museo deve fare profitto quindi, ma buona parte di questo è dato dal servizio che rende alla collettività, quindi, in ultima analisi, il successo di un museo va misurato sulla coerenza con la sua natura, con il ruolo che si è dato la gestione e sopratutto se abbia un impatto positivo sulla comunità. Come abbiamo visto, i finanziatori impongono un bilancio in pareggio e questo va tenuto in seria considerazione, ma più che altro perché è ciò che gli dà l'opportunità di correre dei rischi: il successo per la maggior parte dei musei sta nell'essere finanziariamente solidi e intellettualmente spregiudicati.


Costruire un programma significativo che possa entrare in armonia con visitatori, critici, colleghi e mecenati è ben lungi dall'essere un compito semplice. I direttori non sono infallibili, anche se glielo si chiede, alcuni di questi rivelano la difficoltà di interpretazione del loro ruolo quando non nascondono di non sapere il perchè una data mostra ha avuto un successo inaspettato attraverso il passaparola e i social media, e allo stesso tempo non comprendono perchè i programmi che pensavano avrebbero avuto un ampio richiamo a volte non attirano folle. Il non saper spiegare un successo od un insuccesso è certamente la dimostrazione di un insuccesso. Gli esempi di mostre che dovevano essere dei grandi successi e poi si sono rivelate dei flop sono numerosi, in quasi tutti i casi l’elemento comune è un sopravvalutazione di se stessi insieme ad una sottovalutazione del pubblico.



IL PUBBLICO NON É STUPIDO



Alcuni musei sono frenati dalla loro ansia di trovare finanziatori per programmi di nicchia. Esiste una sorta di mitologia, o fattore di paura, attorno alla finanziabilità dei progetti meno tradizionali. Come abbiamo detto il ruolo del museo è di “stare dentro il tempo presente” se non facesse così tradirebbe non solo la sua natura, ma anche i finanziatori perché nel medio termine il museo perderebbe appetibilità. Atro aspetto da considerare che non si possono proporre tutti le stesse cose, primo perché non ci sono, e se mai fosse così, si creerebbe un processo speculativo all’inseguimento della mostra boom con un ricaduta negativa proprio sui costi. Uno degli aspetti più interessanti e che hanno prodotto i migliori risultati anche al botteghino, è che tra le “grandi mostre” e le mostre di “mantenimento” esiste tutto uno spazio di proposta e ricerca capace di attrarre interessanti risorse finanziarie propio perché si colloca in una dimensione terza, in uno spazio vuoto, da colmare ed in cui l’investitore ha interesse a posizionarsi.


Un altro errore comune è quello di pensare che i "blockbuster" generino molto reddito; questo è in parte smentito dal fatto che le mostre popolari, di solito, sono più costose da organizzare, quindi assorbono più soldi. Il personale e le strutture subiscono molta più pressione del solito, quindi i musei spesso devono spendere di più per assumere più persone e occuparsi dei propri spazi. In ultima analisi, la soluzione più equilibrata e coerente sia sul piano culturale, istituzionale e finanziario è quella di prevedere nella programmazione il giusto equilibrio tra proposte innovative e quelle tradizionali, bilanciando con un corretto ed attento rapporto con la identità del museo ed il territorio.


Nella nostra società c'è sicuramente una tendenza a misurare il successo nei numeri, ma c'è un limite a quello che possono fare. Si possono convincere tutti gli operatori del mercato che qualcosa sarà un successo, ma il pubblico non è stupido e si ha anche la responsabilità ed il dovere di dargli più di quanto si aspetti. Questo senso di obbligo civico rivede il senso da affidare la visione da dare alle presenze, che sono una metrica preziosa (e particolarmente utile se il museo ha bisogno di entrate “urgenti”) che può anche fungere da “indice di pertinenza", ma i numeri dovrebbero essere moderati con un tipo di livello di responsabilità, verso i giovani in particolare, ed anche verso la società in generale, chiedendosi se si sta facendo qualcosa che insieme ci renderà più intelligenti, piu consapevoli, certamente più sensibili e sicuramente più visivamente acuti. E se anche a questo risultato ci arrivassero poche persone, il risultato giustificherebbe lo sforzo.


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