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TUTTO HA UN PREZZO, SOPRATUTTO L'ARTE. Critica al mercato ed ai prezzi dell'arte


Si fa un gran parlare, negli ultimi anni, dei prezzi esorbitanti del mondo dell’arte contemporanea per poi arrivare all'argomento del rapporto tra arte e mercato. Su questo punto è bene chiarire prima che gli integralisti auto referenziali e pseudo etici che vedono nel mercato una sorta di cancro dell'Arte si scatenino, che l'Arte è sempre costata cara e molto da che esiste, e che il mercato è essenziale all'arte.


Zoffany - Tribuna degli Uffizi 1772

Nell'ottocento e nei secoli precedenti l'argomento sulla eticità del mercato dell'arte e il clamore sui valori delle opere era pressochè inesistente non perchè non ci fosse il mercato, ma questo era appannaggio di pochi e tra pochi; anzi, è proprio negli ultimi anni che il mercato si è "democratizzato" grazie ad una piu diffusa informazione e la nascita di strumenti di mercato nuovi come le aste, il web, le fiere.


Emily E. Erb, American flag - 2011


Immaginiamo che tra chi ci legge, sia chiara l'importanza dell'arte ed il suo prezioso ruolo: Bernard Shaw diceva che "come si usa uno specchio di vetro per guardare il viso, si usano le opere d’arte per guardare la propria anima" e quindi essa ha un valore altissimo, questo aspetto è moltiplicato dal fatto che le opere, strumento materiale attraverso cui si esprime questa funzione, sono pezzi unici, irripetibili ed irriproducibili, il che le rende rare e quindi preziose anche sotto questo aspetto. Abbiamo detto che il mercato è essenziale all'arte, anzi, ne è un complemento, con buona pace degli pseudo puristi che invocano "l'arte indipendente". L'arte non è indipendente dalle vicende umane, le interpreta, le legge e spesso le anticipa o non è arte. 


Testa del cavallo di Selene, dal fronte del Partenone - Fidia, 438-432 a.C. - British Museum


Senza scomodare troppi secoli, dai greci ai romani, per passare al rinascimento, l'arte veniva comprata, pagata e venduta, e gli artisti facevano a gara per aggiudicarsi "la commessa" del ricco committente di turno e la relativa paga, prestigio e fama, in una chiara concorrenza tra loro, non priva di colpi bassi, e lo stesso facevano i mecenati che "usavano" i loro soldi per comprare il lavoro di un dato artista, e poi "usavano" ancora l'opera acquistata per fama e prestigio e come strumento di comunicazione e politica; e queste sono dinamiche di un mercato, un qualsiasi mercato, e non c'è nulla di anti etico.



 Lorenzo De Medici

Oggi, senza il mercato dell'arte, le sue componenti e le sue evoluzioni, forse di Leonardo conosceremo il genio, di Caravaggio le vicende criminali e di Picasso probabilmente nulla; tanto che proprio quest'ultimo ebbe a chiedere ai suoi colleghi "cosa saremo noi senza i mercanti?" E certo non perchè mancassero di talento e genio, ma è grazie all'esistenza del mercato che questo ha avuto modo ed occasione di esprimersi, crescere, realizzarsi e concretizzarsi nelle opere che ancora oggi viviamo e godiamo. 



Paul-Durand-Ruel

Volendo poi guardare a ritroso nella storia dell'arte, i committenti e mecenati di un tempo promuovevano l'arte e gli artisti secondo criteri personali ed a loro contemporanei, ma nello stesso tempo sono stati anche i piu grandi conservatori e tramandatori dell'arte; la voglia ora di prestigio ora di fama di singoli Cardinali e Papi, Principi e Re ha fatto si che non solo che esistesse ad esempio, la Cappella Sistina, ma che questa giungesse a noi. E dato che la Storia dell'arte, come tutte le storie è un continuum, le opere di un tempo sono la base necessaria ed ispiratrice delle opere e degli artisti successivi, ma perchè ciò avvenga è necessario non solo l'esistenza del talento, ma di chi ha continuativamente permesso che questo si esprimesse e consolidasse.



Ritratto del mercante Ambroise Vollard di Picasso

Gli stessi artisti, spesso invocati dagli "eticisti" anti mercato, quali vittime del "sistema" del mercato, sono e sono stati attori e fautori del sistema. Prima del Rinascimento esistevano le così dette "botteghe", sorta di fabbriche di arte, che sotto la guida di un Maestro producevano opere a piu mani, tanto era collettiva la creazione, che spesso non veniva apposta la firma sulle opere, poi qualcuno di questi decise di affrancarsi e distinguersi dagli altri, magari meno bravi della stessa bottega e probabilmente per potersi aggiudicare la commessa personalmente ed è così, per farsi riconoscere, ed attribuirsi il legittimo merito che nacquero le firme d'artista; sorta di "griffe" a tutti gli effetti (vedasi l'articolo dedicato qui). Ma fecero anche di più, con l'ottocento, smisero di lavorare per commissioni e si misero ad interpretare il loro tempo anticipando le aspettative del... mercato trasformandolo nuovamente. Nei tempi delle commesse non c'era necessità di mostre, fiere e gallerie, è dall'ottocento che gli artisti hanno bisogno per farsi conoscere e vendere di questi canali per farsi vedere ed incontrare mecenati e collezionisti.


Peggy Guggenheim 


Chiarito quindi che il mercato è un elemento fondamentale all'arte, o quantomeno alla sua vita, non si può non parlare del discorso del prezzo che ne è un elemento imprescindibile, come abbiamo detto, per tutte le parti: di domanda ed offerta, di produzione e consumo. Il prezzo visto per quel che è, cioè un dato, assume un valore informativo, e ciò riguarda qualunque bene e qualunque mercato. All’interno di una singola cifra sono racchiuse informazioni estremamente complesse, che ogni produttore da un lato ed ogni consumatore dall’altro, valuta in modo semi-automatico prima di procedere alla vendita o all’acquisto. Nel caso di opere d'arte, cioè pezzi unici ad alto valore di contenuto e non riproducibili le informazioni nel prezzo sono molte, a cominciare ovviamente dalla domanda ed offerta disponibile ma poi da elementi peculiari all'oggetto e di chi lo ha creato come, i materiali, le dimensioni, l'anno di esecuzione, la qualità di quel determinato lavoro rispetto ad altri dello stesso artista, la fama dell'artista, da quante e quali mostre ha partecipato  l'opera o l'artista e così via.



Salvador Dalì 


Visto così il mercato ed i suoi prezzi sembrerebbero soggetti a regole abbastanza stabili, o quantomeno con dati, ancorché numerosi, abbastanza analizzabili con una certa facilità. Questo percorso può valere in parte per le opere e gli artisti così detti "storicizzati", cioè antichi o comunque con una carriera, un mercato ed una produzione consolidata e pubblica, perchè è possibile fare delle comparazioni tra le varie opere per determinare il prezzo di una di esse, il suo aumento o diminuzione: ad esempio dello stesso artista, banalmente un'opera piu grande avrà probabilmente un prezzo maggiore di una piu piccola, un'opera che è stata molto esposta in mostre varrà di piu di una poco esposta e così via. Comunque sia si tratta di opere di “secondo mercato” cioè che non vengono comprate e vendute direttamente dall’artista, ma hanno un “vissuto” commerciale tacciabile.


Non è possibile applicare in tutte le sue parti lo stesso ragionamento all'arte contemporanea, la quale non può, per definizione, contare su una base comparativa consolidata dal tempo e spesso si tratta di opere di “primo mercato”, cioè acquistabili direttamente dall’artista o dal suo gallerista e che comunque non hanno avuto altri proprietari che non fosse l’artista stesso. Questa caratteristiche rendono le informazioni contenute nel il prezzo sono moltiplicate e non tutte ripercorribili perhè le “procedure” attraverso le quali tale prezzo viene fissato sfuggono a leggi generali di mercato. Quando manca, o non è possibile determinare una chiara “regola” di determinazione del prezzo non esistono le chiare “informazioni” che il prezzo contiene, e non esistono nemmeno specifiche “strategie” che possono essere attuate per fare in modo ne che chi produce arte ne che chi compra arte possa “posizionarsi” in una determinata categoria di “mercato”.


For the Love of God di Damien Hirst (dettaglio)


Anche se nell'arte "antica" e moderna non sono mancati i casi, come quello sempre di Caravaggio, che fu per un lungo periodo dimenticato e poi fulmineamente riscoperto, è nell'arte contemporanea che esistono tutta una serie di variabili che sfuggono alla lettura del valore dell'opera attraverso le informazioni contenute nel prezzo. Quale logica ci dice dice se un'opera di Damien Hirst valga o costi piu di un'opera di Jef Koons? E poi, nel presente o nel futuro? Ma sopratutto quello richiesto è un prezzo congruo, esagerato o un affare?


 Baloon dog di Jeff Koons


Rispondere in maniera netta e definitiva non è tecnicamente possibile, ma si possono fare delle considerazioni per riuscire a stabilire con maggiore precisione quali siano le condizioni perché un artista contemporaneo risulti più apprezzato di un altro permetterebbe di introdurre delle logiche di investimento che andrebbero senza dubbio a creare benefici per il mercato dell’arte, riducendone le opacità sistemiche e migliorando anche la percezione che, si ha dello stesso ed anche a risparmiare al "sistema" delle critiche giustificate dalla non conoscenza.



Quindi per gli artisti contemporanei, abbiamo visto, ci sono delle variabili che si aggiungono a quelle dell'arte di artisti storicizzati che influiscono sull’esito della loro carriera. A parità di talento e di qualità di contenuti, sarà l'artista che piu e piu spesso si esprimerà, piu e piu spesso si proporrà al pubblico, l'artista che più e più spesso si collocherà nelle "grazie" dei collezionisti che contano ad avere un maggior e piu duraturo successo. Il principio è lo stesso che vale per atre professioni, altrettanto umane. Ad esempio, uno scrittore che non scrive e non pubblica, non è uno scrittore, anche se ha talento; se ha talento da romanziere ma scrive su rotocalchi rosa, avrà una quotazione da rotocalco rosa e così via.

Inutile nasconderlo, creare arte è una libertà, ma come tutte le libertà per essere tale, ha la necessità di dargli forma e sostanza, altrimenti resta una sacrosanta libertà ma individuale e basta, praticata per essere tale, e come tale essendo alta, ben poco si interesserà di essere riconosciuta, gli basterà essere vissuta da chi la crea. Per tutti gli altri, che invece creano arte e la condividono il discorso è più articolato.


Philip Galle, la bottega del pittore


Quindi a parità di talento è indubitabile che essere notati dal critico influente faccia la differenza, esporre nelle gallerie più importanti, faccia la differenza, essere apprezzati dai collezionisti più capaci faccia la differenza, collocare le proprie opere nei musei più importanti faccia la differenza e così via. E questo permetterà all’artista di sviluppare sempre più la sua arte ed il suo talento, approfondendo temi ed opportunità creative; alcuni eccepiscono che cogliere queste opportunità può condizionare le libertà espressiva sottoponendo l’artista ad una sorta di “prostituzione” al successo. Certamente questo è possibile ed è in qualche caso vero, ma anche in questo caso lo è tanto quanto lo fu per i grandi Maestri del passato, che si facevano “proteggere” (mantenere) dal signore di turno. 


Emily E. Erb, Legal Tender, 2014



Oggi come all’ora, la libertà espressiva di un talento dipende molto dalla personalità dell’artista e dalla qualità dei suoi mentori e mecenati. Indubbiamente l’attività di “collocazione” sul mercato con tutte le sue conseguenze positive per l’Arte,  l’artista, il pubblico ed i collezionisti; un impegno articolato di figure come appunto Mecenate, Isabella D’Este, Federico II di Svevia, Cosimo de’ Medici, Alvise Pisani, Pio IV e poi Paul Durand Ruel, Ambroise Vollard, Daniel Henry Kahnweiler, Gertrude Stein, Gertrude Vanderbilt Whitney, Peggy e Salomon Gugheneim, Leo Castelli, Larry Gagosian e molti altri, che pur non avendo mai creato un’opera d’arte hanno permesso che queste esistessero e giungessero a noi. In molti casi il loro intento era strumentale e personale, ma il risultato è collettivo e duraturo. Se queste figure furono prive di talento artistico, a loro più che agli artisti, va anche riconosciuto il merito di essere stati in alcuni casi anche i più grandi custodi dell’arte nel tempo: nessuna Cappella Sistina esisterebbe senza Giulio II, nessun museo Guggenheim senza Salomon e Peggy, con buona pace degli “eticisti” dell’arte, i quali mediamente di arte ne hanno prodotta ben poca.



Con questo non vogliamo dire che l’intero sistema dell’arte ed il mercato siano privi di difetti, distorsioni, alterazioni ed aberrazioni, ma anche queste ci sono sempre state e sempre ci saranno, e come in passato, il tempo ed il mercato (appunto) le ha riassorbite. I criticisti, che nel nostro Paese abbondano più che altrove, partono generalmente da due posizioni diverse; alcuni, riadattando una nota fiaba di Esopo li possiamo paragonare alla volpe e gli atri all’uva, entrambi sotto il pergolato della vigna che interpreta il ruolo di sistema dell’arte. Le volpi usano argomentazioni di critica più elementari, e magari più romantiche, disprezzano pur desiderando ciò a cui non hanno accesso: le risorse e l'esposizione in pieno sole del pergolato. In questa categoria si annoverano gli artisti auto dichiarati ed i falliti, che fanno della critica una sorta di missione.



La categoria dell’uva, è più numerosa di quella delle volpi e usa argomentazioni più raffinate per criticare ma più meschine, perché mentre è ben ancorata e nutrita dalla vigna stessa, ne critica ora l’esposizione, ora il fogliame, ora le troppe o poche radici, e non di rado, ma restando ben ancorata con i suoi viticci, aizza le volpi a protestare e per cui va generalmente tutto male tranne ciò che hanno fatto loro. In quest’ultima categoria si annoverano generalmente i parassiti del sistema, coloro che non hanno nulla più da dire e coloro che hanno una rendita di posizione. In entrambe i casi li si può riconoscere da una eloquenza eccellente, un’uso esagerato di citazioni altrui ed aggettivazioni volutamente poco comprensibili. A costoro ed a tutti gli altri proponiamo una prova: se sospendiamo per un anno tutto l’indotto, le professionalità e le competenze del mercato dell’arte; critici, mercanti, galleristi, editori, collezionisti fiere, e poi banche, fondi, fondazioni e musei avremo forse più Arte e più qualità dell’Arte? I talenti emergerebbero egualmente? Sciocchezze!



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