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AUTENTICA DELLE OPERE D’ARTE QUESTIONE DI DIRITTO O MERCATO?


La verifica dell’autenticità di un’opera d’arte è uno dei passaggi fondamentali che deve fare un collezionista al momento dell’acquisto è anche vero, infatti, che le modalità di attribuzione e di autenticazione sono diverse e variano a seconda che si tratti di un’opera di un autore vivente o defunto. Un problema che conoscono bene tutti coloro che sono in possesso di opere acquistate, magari, negli anni Sessanta, ma prive della documentazione oggi prevista dalla legge, cambiata nel tempo e nel tipo di documentazione. Fino agli anni Settanta non esisteva, un reale obbligo per il venditore di rilasciare un attestato di autenticità. Tale obbligo entrerà in vigore, infatti, solo nel 1971. E in molti casi, anche dopo quella data, se si è fortunati l’autenticità di un’opera è affidata ad un’etichetta o ad una scritta sul retro in cui l’autore attesta la propria paternità di quel lavoro. Ma non è detto che oggi al mercato basti per poterla attribuire. Come potrebbe non bastare neanche l’autentica rilasciata da soggetti legittimati dalla legge, ma non riconosciuti come “autenticatori di riferimento” da galleristi e case d’asta. Senza pensare al caso in cui tale autentica venga addirittura negata o disconosciuta in un secondo momento.


L’autenticità costituisce probabilmente per il collezionista la qualità più importante di un’opera d’arte. Il rilascio dell’autentica attesta che un’opera abbia un certo valore artistico, attribuendone la paternità ad un determinato artista. Tuttavia, l’autentica ha un valore duplice: sia artistico, sia economico. Infatti, l’assenza di tale documento comporterà una svalutazione del valore dell’opera, al momento della successiva vendita. Sebbene il diritto preveda alcune disposizioni specifiche in materia di autentica, il mercato segue spesso delle regole diverse. Infatti, al di là di qualsivoglia accertamento giudiziale dell’autenticità dell’opera, sul mercato ciò che conta è la presenza dell’attestazione di autenticità da parte del soggetto che il mercato stesso considera l’“autenticatore di riferimento”. Ad esempio, non è raro trovare che li eredi di un dato artista si incarichino di riconoscere l'autenticità di un opera, mentre il mercato tende a privilegiare le autentiche provenienti da qualche esperto terzo o viceversa, questo perchè si pensa di superare un ipotetico clonfitto di interessi nell'autenticare. Pertanto, talvolta le autentiche provenienti da parte dei soggetti legittimati ai sensi dell’art. 23 della legge sul diritto d’autore italiana, ossia i congiunti più stretti, non sono ritenuti sufficienti per il mercato, qualora il mercato richieda che l’autentica provenga da un diverso soggetto o che l’opera sia stata debitamente archiviata.

Per questa ragione spesso si usa l'autenticazione per archiviazione che consiste nell'inserimento dell’opera da parte dell’archivio dell’artista all’interno del catalogo generale (comprensivo di tutte le opere autentiche dell’artista) o ragionato. Quest’ultimo è una selezione di opere da parte dell’archivio dell’artista, costituito generalmente dall’artista, se ancora vivente, mentre post mortem ne fanno solitamente parte gli eredi dell’artista insieme ad alcuni esperti. L’archiviazione può quindi costituire un’evidente prova dell’autenticità dell’opera, al di là del certificato di autentica. Ad esempio nel caso di Modigliani, le cui opere sono tra le preferite tra i falsari, il mercato è dominato da una grande incertezza e il catalogo di Ambrogio Ceroni, pubblicato per l’ultima volta nel 1972 costituisce il catalogo ragionato maggiormente autorevole dell’artista. Le maggiori case d’asta raramente accettano di vendere opere che non siano inserite negli archivi o nei cataloghi e le opere presenti sono generalmente acquistate ad un prezzo fino a quattro volte superiore rispetto ad altri dipinti dell’artista. Il certificato di autentica può anche essere sostituito dall’archiviazione come avviene nel caso dell’Archivio di Piero Manzoni, che propone di non rilasciare alcun certificato di autenticità, bensì di archiviare solo le opere riconosciute come autentiche».


Esistono dei casi in cui l’artista ha disconosciuto o si è rifiutato di inserire opere già pubblicate in catalogo. Si pensi, ad esempio, al caso di Gerhard Richter che ha disconosciuto alcune opere giovanili realizzate nel periodo in cui frequentava la Düsseldorf Art Academy. Infatti, tra il 1962 e il 1968 l’artista tedesco realizzò delle opere realistiche e figurative, uno stile che secondo l’artista non lo rappresenta più e che ha espressamente voluto escludere dal proprio catalogo ragionato, rimuovendo alcune opere già presenti e impedendo l’ingresso di opere giovanili non ancora archiviate. Sebbene il diritto a disconoscere un’opera costituisca il legittimo esercizio da parte dell’artista del proprio diritto di paternità, tuttavia ci si interroga se sia corretto affidare all’artista la redazione del proprio catalogo ragionato consentendogli di decidere sulla propria eredità artistica, considerate le ripercussioni che tali decisioni hanno sul mercato, oltre al fatto che il catalogo ragionato deve considerarsi un documento con valore storico.

Nel caso di disconoscimento successivo, così come nel caso di rifiuto di rilascio dell’autentica da parte dell’artista, o dopo la sua morte da parte degli aventi diritto o di esperti, l’unica possibilità per il collezionista è quella di esperire un’azione giudiziale per richiedere l’accertamento giudiziale dell’autenticità dell’opera. Qualora si rivalga contro il venditore, il collezionista potrà richiedere anche la risoluzione o l’annullamento del contratto di vendita, salvo in entrambi i casi il risarcimento dei danni.

Talvolta l’accertamento giudiziale non è sufficiente per il mercato, dove contano i pareri di coloro che sono riconosciuti quali “autenticatori ufficiali” per un determinato artista. L’opera, sebbene dichiarata autentica giudizialmente, risulta invendibile sul mercato.


Poi ci sono le fondazioni, detentrici della eredità di un artista e che si fanno carico di autenticare, un conflitto di interessi è, in questo caso possibile non tanto per il pagamento della autenticazione, ma piuttosto dall'attitudine monopolistica di alcune fondazioni artistiche nel rilascio dei certificati d’autentica, che sembrano voler restringere il numero di opere presenti sul mercato per poter vendere delle opere, in loro possesso e da loro stesse autenticate, ad un prezzo più alto. E’ questa l’accusa mossa alla Andy Warhol Foundation nell’ambito di un processo instaurato dal collezionista Simon Whelan. Per la prima volta, tale domanda relativa ad un’asserita violazione antitrust da parte della fondazione era sopravvissuta alla cosiddetta “motion to dismiss”; il procedimento ha avuto, tuttavia, una definizione transattiva.


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