Mercato. Il prezzo di tutto e il valore di niente. Il rapporto 2015 di ARTPRICE. Scaricabile
Il rapporto Artprice 2015 ha confermato, principalmente, un fatto: il mercato dell’arte contemporanea è un mercato ristretto, nonostante le cifre in gioco siano sempre più consistenti. Un mercato che continua a ruotare attorno ai soliti nomi noti e in cui è spesso difficile comprendere il rapporto tra il valore artistico e quello economico. E quanto la produzione artistica, piuttosto, sia condizionata da logiche commerciali e dai loro principali operatori.
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QUALCHE NUMERO DAL RAPPORTO ARTPRICE
Secondo il rapporto Artprice 2015 – che abbiamo analizzato nel dettaglio qui – nel periodo tra luglio 2014 e giugno 2015, il 18% del valore delle vendite è appannaggio di tre soli nomi – Jean-Michel Basquiat (sua l’opera costata di più, The field next to the other door), Christopher Wool e Jeff Koons – e del totale di quasi 1,8 miliardi di dollari, i primi 100 ne valgono 1,2, e i primi dieci quasi 600 milioni. Il 91% delle vendite si sono concluse negli Usa (650 mln), Cina (543 mln) e Uk (410,5 mln), di cui quasi il 60% nelle sole New York (dove si svolge il 97% delle transazioni di tutti gli Stati Uniti) e Londra (oltre il 99% di quelle del Regno Unito). Nel resto del mondo, Italia compresa, le briciole – e tutto questo avviene mentre nel mondo sorgono sempre nuovi musei: dal 2000 al 2014 sono stati fondati più musei che in tutto il XIX e XX secolo, con una media di 700 l’anno, segnale di un interesse crescente e popolare.
I RISCHI DELLA FINANZIARIZZAZIONE
È in atto una progressiva finanziarizzazione del mercato dell’arte contemporanea con il rischio, già sperimentato in altri settori, che le logiche corrette che dovrebbero governarlo si pieghino a interessi particolari. Così come finanza ed economia, ormai, non hanno più molto a che fare e la Borsa assomiglia sempre più a un casino dove il valore reale delle società quotate non c’entra più nulla con la sua capitalizzazione, così il valore dell’arte rischia di non essere più l’arte stessa ma la solo il frutto di una programmata popolarità. Una popolarità che come conseguenza porta a una sovrapproduzione degli artisti più richiesti. Una sovrapproduzione richiesta dalle gallerie più influenti che rischia di danneggiare anche gli artisti più promettenti, sulla base di una logica in cui in cui la quantità prevale sulla qualità.
È un fenomeno ciclico, questo, come le crisi e come le riprese. Già nel 1924 la richiesta di arte d’avanguardia raggiunse un picco che sembrava in grado di impoverire la vitalità dell’arte. E allora come ora, la risposta nacque dall’arte stessa. I surrealisti, in aperto contrasto con un mercato sempre più imborghesito e speculativo, tradussero la loro protesta in un Manifesto rivoluzionario e propositivo contro la mercificazione della cultura. E così, certamente, accadrà anche oggi. Fino al prossimo giro di boa.
Marco O. Avvisati