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MUSEI V/S Peppa Pig e Gormiti. CHE INIZI FINALMENTE LA SFIDA


"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione" questo è il testo dell'articolo 9 della nostra Costituzione ed è forse uno degli articoli piu originali della nostra Carta che, infatti, trova poche analogie nelle costituzioni di tutto il mondo. È nel nostro patrimonio artistico, nella nostra lingua, nella capacità creativa degli italiani che risiede il cuore della nostra identità, di quella Nazione che è nata ben prima dello Stato e ne rappresenta la più alta legittimazione. L’Italia che è dentro ciascuno di noi è espressa nella cultura umanistica, dall’arte figurativa, dalla musica, dall’architettura, dalla poesia e dalla letteratura di un unico popolo. L’identità nazionale degli italiani si basa sulla consapevolezza di essere custodi di un patrimonio culturale unitario che non ha eguali nel mondo. Se non si entra in un museo da piccoli, probabilmente non vi si entrerà nemmeno da grandi. L'identità cultuarale, la condivisione, l'appartenenza sono valori essenziali di auto riconoscimento, una sorta di passaporto per conoscere gli altri, ed in tempi di multi culturalismo, ciò è essenziale, anzi, fondamentale sopratutto per i così detti "nativi digitali" così pieni di informazioni e bisognosi di strumenti per gestirle. Perdonerete questo avvio forse un poco pedante, ma credo fortemente che “Un iniziare ad accorgersi”, che porta ad avere curiosità, a voler sapere e, perché no, ad affezionarsi e voler custodire le ricchezze del proprio Paese. Diverse ricerche confermano che la gita scolastica rappresenta la prima occasione di incontro tra il bambino e museo. Ma la relazione tra queste due istituzioni, scuola e museo, rimane ancora complessa, anche se qualche passo è stato fatto.



Esistono accordi tra ministeri finalizzati all'avvicinamento del mondo della scuola e quello dei musei con l’obiettivo di rendere la visita al museo qualcosa di non estraneo al percorso didattico annuale. Perché il museo, le opere d’arte e in generale il patrimonio dovrebbero essere un ausilio importante nello svolgimento dei programmi scolastici dato il loro carattere “di immagini”, di immediata accessibilità.

L’insegnamento della storia dell’arte soprattutto nelle scuole medie e superiori è uno dei nodi centrali della questione, con i tagli costanti e la riduzione delle ore. L’educazione “al bello” però, ha un altro grande ostacolo, il tempo. E’ una pratica che richiede attenzione, contemplazione, pazienza e costanza. Un esercizio nel quale si deve perseverare e che porta a ritrovare la bellezza dove apparentemente non c’è, insegnando ad osservare in modo critico, attivo, il proprio contesto. Altro “limite” è che questo tipo di esercizio non può farsi davanti alle pagine dei manuali scolastici di storia dell’arte che devono essere solo il punto di partenza. Come asseriva Roberto Longhi, la storia dell’arte è una lingua viva e quindi bisogna uscire nel paesaggio e nella città, per mantenere la connessione con il proprio territorio oppure far entrare il museo, l’arte nella scuola… in senso fisico e materiale.


Tra le sperimentazioni utili in tal senso, rientra sicuramente il progetto del Museo MAXXI – Il museo tra i banchi di scuola. Ma altri se ne potrebbero ricordare (Adotta un monumento, I like museo, Io amo i beni culturali).

Benvengano iniziative come quella recente dei 500€ di bonus per la maggiore età, (che purtroppo, per vizio nazionale diffuso, viene visto da alcuni solo dal lato politicista e non politico, dimenticando che è comunque un investimento in cultura) ma ancora molto rimane da fare. Sul divario tra arte e vita reale sembra ci sia comune accordo nello stabilire che se da un lato il il pubblico si è interessato, colpevolmente, sempre meno dei fenomeni artistici, dall’altro l’arte si è richiusa su se stessa. Le cose però stanno cambiando, e prima di tutto gli artisti, che hanno iniziato ad invadere la quotidianità con installazioni, street art, e utilizzando sempre più un linguaggio in grado di avvicinare le persone alla riflessione artistica. Poco però si sta facendo perché questa tendenza non rimanga esclusivamente un’iniziativa di un settore della società.



Vanno bene le gite scolastiche, vanno bene le lezioni di storia dell’arte, ma l’arte deve imparare a vincere la sfida dell’audience. Riuscire ad attrarre bambini dai 6 ai 10 perché il museo sia una rottura con la routine scolastica è semplice, ma riduttivo. La sfida è piuttosto quella di stimolare i ragazzi stessi a spingere i loro “decisori” a portarli al museo la domenica. Il competitor dell’attenzione non è l’ora di grammatica, è Peppa Pig, o i Gormiti, o l’ultima consolle di eGames. Si fa un bel dire che il museo dovrebbe essere uno dei centri della vita (sociale e culturale) della città. Ma sono pochi i musei pensati come luogo deputato alla socialità adolescenziale. Certo, non è semplice. E neanche si può fare di un museo un luogo che prenda il posto del campetto di calcio, della piazza, dell’oratorio. Sono cose diverse. Ma le lezioni sull’identità liquida che tanto vanno di moda in questo periodo, valgono anche (e soprattutto) per quelle fasce di età di cui si sa poco perché la legge sulla Privacy è, giustamente, più stringente. Bisogna quindi pensare a modelli nuovi di intervento, nuove tecniche e nuove attività che siano in grado di fare in modo che l’arte e la cultura non siano solo una cosa per bambini o pensionati. Tra queste due categorie, c’è davvero, la vita intera.


Marco O. Avvisati




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