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BIENNALE D'ARTE DI VENEZIA: QUALCOSA IN PIÙ E QUALCOSA IN MENO



“May You Live In Interesting Times” è il titolo della biennale che il curatore Rudolph Rugoff, direttore della Hayward Gallery di Londra, ha scelto per raggruppare 79 artisti internazionali tutti contraddistinti da una lettura inedita e disincantata verso la realtà contemporanea. Tutti interessati a valicare il concetto di mera arte di opposizione o di propaganda si pongono, attraverso multiformi linguaggi espressivi, l’obbiettivo di svelare i meccanismi di una società “duale” tra realtà e falsificazione.


Padiglione Centrale dei Giardini, con le opere di Nijdeka Akunyili Crosby

Tratto da un’espressione popolare cinese, di uso comune tra gli anglosassoni, il titolo svela un’approccio critico e diametralmente opposto a quello di stampo ottimistico della scorsa edizione. Rugoff crea due mostre differenti, una all’Arsenale e una al Padiglione Centrale dei Giardini, ma coinvolgendo gli stessi artisti; tra i nomi compaiono molti giovani nati tra gli anni 70 e gli anni 80, pochi maestri e molte donne, come a voler sottolineare un’ulteriore inversione di marcia.


Tavares Strachan, Robert, 2018


Ovviamente anche il risultato è ambivalente; le opere al Padiglione Centrale sono una sorta di "prima scelta" rispetto a quelle dello stesso artista proposte all'Arsenale. Nel complesso, un sapiente mix tra nomi non scontati e altri ampiamente esposti, come Carol Bove, George Condo, Stan Douglas, Lee Bul, Liu Wei, il già Leone d’Oro Christian Marclay, Tomás Saraceno, Julie Mehretu e Danh Vo.


Shilpa Gupta, For, in your tongue, I cannot fit, 2017-2018


Anche il tema proposto ha fatto sì che gli artisti abbiano tralasciato la speculazione di ampio respiro, concentrandosi su interpretazioni del particolare; una scelta condivisibile o meno, ma pur sempre una scelta ed un segno dei tempi.

Superata la fase di "fumosità" iniziale per l'altissimo numero di opere esposte e che, sopratutto all'Arsenale, sono spesso inquinate dalle opere vicine, la mostra è nel suo complesso bella e ha il pregio di, intercettare alcuni dei trend più importanti che stanno attraversando il mondo dell’arte.


In primo luogo l’affermarsi, in modo deciso, della produzione artistica del continente africano, strettamente correlata alla rinnovata attenzione per gli artisti afroamericani, “figli” della diaspora. Oltre a proporre una produzione giovane e, con essa, linguaggi come l’arte digitale o la realtà virtuale, che raramente trovano spazio in momenti istituzionali come questi, anche se qui forse ne hanno trovato un po troppo.


Tutti elementi positivi quindi, ma il Curatore Rugoff non si è fatto scappare l'opportunità di strizzare anche l'occhio al mercato con alcuni dei nomi di punta della mostra già stati incoronati dal mercato delle aste con record milionari e fanno mostra di sé nei salotti di qualche collezionista, l’idea che si affaccia nella mente è, invece, quella di una Biennale certamente aggiornata, ma anche un po’ alla moda. Specie se si considera l’ampio spazio, ad esempio, che hanno i lavori di Hanry Taylor (n. 1958), della giovane nigeriana Nijdeka Akunyili Crosby (n. 1983) o della statunitense Avery Singer, il cui valore di mercato, nell’ultimo biennio, è cresciuto e non di poco.



Ci sono poi i Padiglioni nazionali ai Giardini, indipendenti dal Curatore e qui c'è davvero da fare un viaggio trasversale. Ad iniziare da “Un universo liquido e tentacolare, organizzato intorno a una riflessione sulle nozioni di generazione e identità” parole all’apparenza astratte, ma che paiono identificare bene quello che Laure Prouvost propone nel Padiglione della Francia: un’avventura visuale avvolgente e coinvolgente, che tocca corde multisensoriali con un’emozionante video e un’installazione scultorea che che si serve di elementi come acqua, terra, vetro, vapore.

Per ora il nostro “Leone d’Oro virtuale” va a questa affascinante macchina condotta anche da diversi performer mimetizzati fra il pubblico


Ecco qualche brano nel video, così come trovate un primo assaggio del Padiglione Germania con Natascha Süder Happelmann (sotto) e del Padiglione Gran Bretagna con Cathy Wilkes…



Non mancano ne potrebbero mancare le grandi installazioni alla Biennale, che fanno sempre discutere e fare molti selfie



Nella scultura site-specific di Lorenzo Quinn per la Biennale d’Arte 2019 ogni coppia di mani rappresenta uno dei sei valori universali di: amicizia, due mani che si toccano appena, disegnando un’immagine simmetrica che trasmette fiducia e sostegno; saggezza, una vecchia mano e una più giovane, rappresentazione del passaggio della conoscenza di generazione in generazione; aiuto, due mani che si uniscono, in segno di empatia ma anche di supporto fisico e morale; fede, con la mano di un adulto che stringe quella di un bambino; speranza, due mani dalle dita intrecciate in simbolo di ottimismo verso il futuro; e amore con le dita strette le une alle altre.


La Carcassa del barcone affondato al largo della Sicilia nel 2015 con 700 migranti


Ci sono poi rassegne che meritano visite senza limiti di tempo. Da Janni Kounellis alla Fondazione Prada, prima grande retrospettiva dedicata all’artista dopo la sua morte, a cura di Germano Celant. Il progetto espositivo della Fondazione Giorgio Cini dedicato al pittore rumeno Adrian Ghenie, per la prima volta in Italia. L’emotivamente toccante Yun Hyong-Keun, artista coreano scomparso nel 2007, che solo ora, dopo una vita segnata da enormi difficoltà, viene adeguatamente riconosciuto. Gli ambienti di Palazzo Fortuny sono una cornice perfetta per le sue opere. Ca’ Pesaro dedica invece una mostra esaustiva ad Arshile Gorky (1904-1948), che ha segnato la storia dell’espressionismo americano. Gorky, di origini armene era approdato negli Stati Uniti per sfuggire al genocidio degli armeni nel 1915. Perfetto esempio di rifugiato “integrato”. Un tema che trova sintonie profonde con il tema della Biennale di quest’anno.



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