LA "MONA LISA AMERICANA" SVELEREBBE UN SEGRETO: LA STORIA DI GINEVRA BENCI E DEL SUA AMORE
Forse esiste davvero un Codice Da Vinci, e non quello di Dan Brown, ma scritto dallo stesso Leonardo. Che Leonardo amasse giocare con i riferimenti celati è noto sopratutto nei suoi Codici, e su questo in tanti hanno voluto trovare misteriosi messaggi oltre il romanziere Brown, spesso con bufale belle e buone. Questa volta il "mistero riguarda però un'altra Monna Lisa che potrebbe svelare un racconto segreto di Leonardo. L'opera in questione è la cosiddetta "Gioconda americana", o meglio la Dama Liechtenstein (qui sopra) ossia l'altra versione della leggendaria tela del Louvre (1503-1506), oggi esposta alla National Gallery di Washington. E' in quest'altro ritratto di Ginevra Benci (abbozzato nel 1503 con una fisionomia più giovane e sorridente, salita all'onore delle cronache nel 2012 con l'attribuzione) che si nasconderebbe il testo, celato "dietro" il motto che accompagna il quadro, quel «virtutem forma decorat» (qui sotto) che compare nella ghirlanda dipinta sul retro del quadro. Parole che, anagrammandole, formerebbero 50 frasi tutte firmate "Vinci" dall'artista e che messe insieme, racconterebbero la storia di Ginevra Benci, appunto, la donna raffigurata nel ritratto, figlia di un ricco banchiere nell'imminenza delle nozze.
A scoprire il "codice da Vinci" è stata la ricercatrice Carla Glori, studiosa italiana non nuova a rivelazioni sulle opere del genio toscano. A giugno del 2016 annunciava alla stampa di aver scoperto dopo oltre 500 anni il profilo di Leonardo da Vinci, celato nel Codice Atlantico, mimetizzato nel foglio numero 399 dove è disegnato il volto di una nobildonna milanese (qui sotto). E nel 2015, insieme a uno studio di architettura di Piacenza, identificava nel paesaggio sullo sfondo della Gioconda del Louvre una serie di riferimenti geografici corrispondenti alla valle di Bobbio nel piacentino. Ora torna a far parlare di se'. Ma la cautela, tra gli esperti di Leonardo, è ancora altissima in queste ore. Soprattutto perché la scoperta arriva dalla seconda Gioconda, e non da quella "ufficiale". Quindi il condizionale è ancora doveroso.
«Si tratta di anagrammi - ha raccontato all'Adnkronos Carla Glori - che si connettono tra loro in modo molto coerente a formare una storia completa, con personaggi e una trama del tutto verosimili». Per arrivarci la ricercatrice ha ipotizzato che Leonardo abbia utilizzato il motto come una «macchina alfabetica» programmata per fornire attraverso anagrammi informazioni sul ritratto di Ginevra Benci, chi era e cosa le stava succedendo. La chiave per risolvere il tutto è stato aggiungere al motto "virtutem forma decorat" la parola latina "iuniperus" ovvero il rametto di ginepro che compare al centro del motto, simbolo di purezza.
Ne escono fuori cinquanta frasi decifrate che sono anagrammi perfetti e collegandoli insieme è possibile formare un testo coerente e significativo, coincidente con la storia biograficamente documentata di Ginevra alla data del 1474, quando il notaio Simone Grazzini da Staggia stipulò in Firenze il suo contratto matrimoniale datato 15 gennaio 1473. Il promesso sposo era Luigi di Bernardo Niccolini, un vedovo di quindici anni più anziano. E a questo punto viene fuori la storia drammatica di una ragazza che ama un uomo e che è obbligata a sposarne un altro che detesta, mentre il suo amante è costretto ad essere un testimone impotente e condannato a subire la conseguenza del «contratto matrimoniale» (il «foedus» qualificato con la parola latina «fraus»).
E l'amante sarebbe l'ambasciatore veneziano Bernardo Bembo (probabilmente l'uomo ritratto da Hans Memling, Ritratto d'uomo con una medaglia romana qui sotto), arrivato a Firenze nel 1475. Nel dipinto datato tra il gennaio 1475 e il giugno 1476, la ghirlanda con in mezzo un rametto di ginepro assieme al motto starebbe a rappresentare l'apoteosi della virtù di Ginevra sposa. Ma la scoperta della Glori racconta un'altra storia. E la stessa National Gallery di Whashington ha sccoperto con i raggi infrarossi che sotto il motto dipinto si cela un'altra frase. È il motto del Bembo: "virtus et honor" (la bellezza adorna la virtù) e la ghirlanda, senza il rametto di ginepro, palma e alloro, è il simbolo nobiliare dello stesso Bembo. «La fiction anagrammata -dice Glori- è eccezionalmente fedele rispetto alla biografia di Ginevra datata 1474. L'identificazione del Bembo, definito eruditus, optimas, orator, poeta… è immediata. Lo sposo Luigi Niccolini viene definito ferus, rudis, usurpator..».
Nel testo vi ricorrono frasi anche di repulsione della donna verso il marito impostole, come ad esempio «L'innocente si addossa il tormento attraverso il patto (nuziale,), "Pura sumit torturam foedere". Quindi a causa del letto nuziale preferisce il sudario "tum e toro praefert sudarium».
Insomma una specie di denuncia nascosta da lasciare per sempre. «Il testo latino rigorosamente formato con i 50 anagrammi tutti firmati Vinci Nella traduzione italiana risulta straordinariamente vivido e riflette l'angoscia di una fanciulla casta e oppressa, tormentata dallo spettro del suo "letto nuziale" trasformato in un "letto di morte", dove deve seppellire tutte le sue speranze e i suoi sogni. I "moti mentali" di Ginevra risultano fedelmente rispecchiati, e il testo è permeato da un senso di moralità e ribellione, a rivendicare giustizia contro una tradizione patriarcale che sottomette la donna e si appropria del suo corpo».
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