MOSTRE 3D, PIU SI VEDE MENO SI VEDE
C’è un che di culturalmente regressivo nell’operazione con la quale si cerca di promuovere l'arte attraverso le mostre così dette Experience nuovo filone della recente moda di diffondere arte attraverso mostre multimediali e solo, ed esclusivamente multimediali. Sia ben inteso che personalmente sono un sostenitore della interattività e del coinvolgimento del pubblico alle mostre ed al contatto con le opere, ma esiste un confine, e cioè che l'opera deve esserci e non solo la sua mega proiezione, che di artistico hanno solo la tecnica di proiezione. Con le ultime mostre Dalì Experience, Van Gogh, Caravvaggio ed altri si è infatti invertita buona la rotta seguita da qualche tempo con la proiezione affiancate dalle opere autentiche. Difatti nel caso di iniziative di qualità, è il museo che esponendo le opere autentiche, si limita (più o meno) ad allargare la platea proponendo al suo pubblico spettacoli carichi di suggestioni, di musica, di storia. L’integrità dell’oggetto artistico è in qualche modo preservata.
Nel caso di queste mostre "experience", invece, non c’è un oggetto preesistente: o meglio l’oggetto c’è, e sono le opere. Ma l’operazione che si fa è quella di creare un nuovo oggetto, una specie di giostra in cui la materia culturale è macdonaldizzata e predigerita, riconfigurata e trasformata. Che poi la mostra sia curata da un esperto, poco importa. Ciò che importa è che l’unico elemento di novità, rispetto al vecchio modo di fare mostre, è costituito dall'inversione tra opera e pubblico, tra significato e spettacolo, lo scopo è far divertire, e poco importa con quale artista, con quale opera e perchè; proprio come accade a Mirabilandia: ma questo elemento serve in questo caso una pessima causa.
Il 3D fa spettacolo, serve a fare dei Musei un immenso set fantastico, invece di aiutare, come si sarebbe potuto fare, a entrare soprattutto nella tattilità della scultura, nel mistero di marmi che suggeriscono potenza e sinuosità, leggerezza e forza, il mistero della suggestione di una cromaticità dipinta, di una espressione. Com’è che la scultura ottiene questi effetti? Il 3D non ce lo spiega. Capiamo bene, che non sempre sia possibile per tutti andare a vedere direttamente un Van Gogh, o un Caravaggio ma operazioni come queste offrono l'illusione di "vedere" allontanandoci dall'opera reale, dal suo senso e contenuto profondo; qualcuno potrà obiettare che in fondo queste operazioni avvicinano l'arte ad un pubblico piu ampio e meno preparato, e questa mia sia una posizione snobbistica, io affermo invece l'esatto contrario, perchè se un valore c'è in queste mostre experience, c'è solo per coloro che hanno la fortuna di aver visto realmente l'opera. Divertirsi e giocare con l'arte è sacrosanto, utile ed intelligente, ma l'arte deve esserci, la parodia, lo scherzo e la presa in giro sia del pubblico che dell'arte, meno.
Anziché costruire percorsi nella storia e nella tecnica della scultura, della pittura e dell’architettura si è preferito puntare tutto sulla sensazione: c’è una atmosfera invadente, ci sono accostamenti a dir poco azzardati, c’è, soprattutto, un uso incongruo della tecnologia 3D che fa sì che si “entri” nel singolo dipinto per farne un’opera disposta su più piani in profondità. L’impressione che se ne ricava è simile a quella delle calcomanie applicate dai bambini in sovrapposizioni multiple su sfondi neutri.
Da queste mostre passa insomma l’idea che l’arte sia in fin dei conti qualcosa di bello senza troppa pena. Salvatore Settis scriveva tempo fa che le mostre sono fatte per non far pensare, ma per stupire. Per questo godono di tanta fortuna. Ora, ciò che operazioni come queste rischiano di produrre è un effetto di eccessiva semplificazione del rapporto con l’arte: che è un rapporto vivo nella misura in cui coinvolge l’opera e lo spettatore in un “corpo a corpo” diretto. Qui invece non c’è più nemmeno bisogno di andare sul posto per incontrare l’opera, tutto viene offerto facilmente all’occhio; e non c’è più nemmeno bisogno di ricercare, anche con fatica, quel rapporto di intelligenza dell’opera che ci fa stare a volte decine di minuti davanti a un quadro o un manufatto. No, tutto si riduce a uno sguardo a volo d’uccello.
Si aspettano prossime “visite” 3D a importanti artisti per “conoscere” in un’oretta pittori come Matisse o Rembrandt. Ma con simili operazioni di riduzione dello sguardo si rischia di giapponesizzare il rapporto con le radici dell’arte.