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"POTEVO FARLA ANCHE IO"... O NO...? PERCHE L'ARTE CONTEMPORANEA É ARTE?



Non è raro, anche nelle persone piuttosto istruite imbattersi in affermazioni (o piu spesso nel pensiero taciuto) “questo sarei stato capace di farlo anch’io” davanti ad un’opera non realizzata secondo i canoni consueti…, se poi pensiamo anche ai prezzi, alle ovazioni estasiate che ottengono negli ambienti strettamente artistici, il senso della affermazione resta e l'idea (non errata) che gli "ambienti artistici" siano un poco autoreferenziali ed interessati si consolida.

Perché mai quindi rifiuti, scarabocchi, semplici gesti e oggetti comuni sono diventati opere d'arte? La risposta sintetica è semplice: perchè sono il nuovo modo di esprimere idee! Ma qui, proveremo a sviluppare il discorso.

Diciamo la verità: spesso l’arte moderna è un rebus. Che ci sarà mai da ammirare nell’orinatoio di Marcel Duchamp o nelle tele bianche di Robert Ryman?


Raffaello Sanzio "Dama con il Liocorno" 1505-1506 circa - Olio su tavola - 65×51 cm - Galleria Borghese, Roma

Eppure, queste opere sono entrate nella storia dell’arte, perché hanno espresso emozioni e idee universali. Certo, è cambiato il linguaggio: l’armonia di Raffaello ha ceduto il posto a provocazioni, show, disarmonie… che sono poi lo specchio della nostra epoca. Meglio conoscere i nuovi linguaggi dell’arte, quindi, per apprezzare le intuizioni degli artisti di oggi. Del resto, anche il realismo senza fronzoli di Caravaggio fece scandalo nel 1600 con quei suoi santi dalle facce "contadine", piedi sudici e canestre di frutta bacata.


Caravaggio "Canestra di Frutta" 1594/1598 - olio su tela - 47×62 cm - Pinacoteca Ambrosiana, Milano

Talvolta viene da pensare: sono capace di farla anch’io! Sbagliato. Ecco perché.

All’ultima Biennale di Venezia c’erano tre toilette blu, bianche e rosse. Guai a usarle: erano l’opera Liberté del norvegese Lars Ramberg (1964).


Lars Ramberg - Libertè, 1964 - alla Biennale di Venezia


A New York l’argentino Rirkrit Tiravanija (1961) dopo aver cucinato in galleria, regala stoviglie untela pubblico: non è uno chef, ma un quotato artista la cui creatività consiste nel… far da mangiare agli spettatori.


Rirkrit Tiravanija... in galleria


Visti questi esempi la domanda sul che cosa succede all’arte è leggittima? Perché oggi apprezziamo ciò che in passato erano semplici rifiuti, gesti? E com’è possibile distinguere la vera arte dai bidoni?

Proviamo insieme a capirlo, ma per farlo dobbiamo per prima cosa ammettere con noi stessi che un fatto è assolutamente certo: i tempi dei ritratti di Raffaello sono finiti. Che sia merito o colpa della fotografia, che nel 1800 si sostituì, con più efficacia, alla capacità di pittura di riprodurre la realtà, non fa molta differenza. Così le arti visive assunsero un nuovo ruolo: cominciarono a rappresentare non solo immagini, ma anche concetti. Una vera rivoluzione.

“Oggi non basta più saper dipingere realisticamente una mela, ma occorre saper rendere quel che di invisibile ha dentro” afferma Francesco Bonami, critico d’arte. Cioè saper usare anche una mela per esprimere emozioni, idee e concetti.


Damien Hirst - Disgust, 2006 (Mosche e resina su tela)

Per esempio l’artista inglese Damien Hirst (1965) invece di dipingere una mosca come avrebbe fatto Giotto, espone una vera mosca, anzi un intero tappeto di mosche in ali e cartilagine, su una tela. Oggi non serve più disegnare fedelmente una mosca, lo fa già la fotografia; quello che l’artista deve fare è suscitare una sensazione di ribrezzo con la mosca spiaccicata sulla tela. L’arte insomma, non è più solo tecnica realistica, ma è idea, provocazione.


Pablo Picasso - Les Deux Saltimbanques, 1901 - Museo Puškin, Mosca


Nell’arte contemporanea, inoltre, intervengono altri due fattori, al di là della bravura tecnica e dell’estro creativo: il mercato e lo spettatore, che non è più solo un passivo osservatore, ma concorre a dare senso all’opera. Nelle opere dei grandi maestri del passato il ruolo dello spettatore era notevolmente minore, quasi passivo, nell'arte contemporanea il suo ruolo è essenziale all'opera stessa, le sue reazioni sono in ultima analisi l'essenza dell'opera stessa. Provando a procedere gradualmente verso questo discorso, identificare un momento preciso di svolta verso le nuove dimensioni dell'arte non è ovviamente possibile, ma per comodità espositiva prendiamo per buono il suggerimento dello storico dell'arte Pierre Rosenberg che indica come primo passo verso l’arte moderna il quadro I saltimbanchi (1901) di Pablo Picasso (1881-1973), in cui la realtà è stravolta con figure non più corrispondenti al vero, ma alterate e dove il senso dell'opera di attesa, di attimo di sospensione del tempo non può più essere affidata alla sola figura rappresentata, ma bensì trasmessa dall'intera composizione di figure, pose, ma anche colori, cromaticità, inquadrature.

La rottura definitiva fu compiuta dal francese Marcel Duchamp (1877-1968) che nel 1917 presentò un orinatoio in ceramica, a cui diede il nome Fontana, valutato oggi 5,5 milioni di euro.


Marcel Duchamp - Fountain, 1917/1964 - Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma

(Originale perduto, replicato in multiplo di 12 esemplari nel 1964)


Con quest’opera Duchamp mostrò che, oggi, tutto può essere arte. Per fare un’opera non era più necessaria la conoscenza tecnica, bastava un’idea originale e sorretta da un buon marketing. L’orinatoio presentato come creazione artistica ha fatto scalpore e questo è bastato per convincere critici, mercanti e acquirenti che quella era vera arte. In più l’artista francese ha sancito un altro principio dell’arte contemporanea: almeno in teoria, tutti possono fare arte perchè tutti hanno qualcosa da dire, l'importante è dirlo e saperlo dire. Se riesci a vendere un orinatoio e a farlo pagare migliaia di euro, sei un genio!


Paolo Uccello "Disarcionamento di Bernardino della Ciarda" - 1438 -Tecnica mista su tavola - 182×323 cm - Uffizi, Firenze

Questo però non significa che l’arte oggi è tutta una bufala, che gli artisti sono solo geni del marketing o che tutti sono artisti. Ecco il punto. Quando vediamo le tele completamente bianche del pittore americano Robert Ryman (1930) viene naturalmente da pensare che sono trovate alla portata di tutti, ma a ben pensarci non è così, anzi, è l'esatto contrario: le tele bianche sono effettivamente alla portata di tutti, non vi è dubbio, ma ciò che conta è farle per primo, e sopratutto non alla portata di tutti è il pensiero che le sorregge e cioè superare l'idea un messaggio necessariamente dipinto. e "creare" l'interrogativo in chi guarda. Ed il primo a osare l’inosabile è stato proprio Ryman nel 1955”.


Robert Ryman - Surface veil I, 1970 - Guggenheim Museum, New York

Non solo, in quelle tele c’è un messaggio preciso. Il pittore aveva intuito che oggi non spaventano tanto le guerre (messe in scena da Paolo Uccello nel XV secolo) quanto il vuoto e la noia. Se l’arte è espressione della società, questa è la società che abbiamo: vuota. E che cosa poteva meglio rappresentare la noia di una tela bianca? Ryman fa quindi arte: senza dare sfoggio di grandi capacità tecniche ma lanciando messaggi che ci fanno pensare.


Pablo Picasso "blu dove" 1961

Si potrà obiettare che comunque ci vuole del talento non solo ideale ma anche tecnico, diciamo la così detta "mano". Per prima cosa riflettiamo sul fatto che comprendere, interpretare, sintetizzare e trasmettere in una rappresentazione della realtà attraverso una azione, oggetto (o non azione) è segno di talento analitico, in secondo luogo non cadiamo nell'errore di pensare che gli artisti che riducono al minimo il gesto artistico siano privi di talento tecnico. Riprendiamo Picasso come esempio: nel disegno della colomba, il gesto artistico è ridotto al minimo essenziale, accennato proprio fino alla soglia del fatidico "potevo farlo anche io".


Pablo Picasso "prima comunione" 1896

Ma se guardiamo il dipinto "la prima comunione" sempre di Picasso possiamo vedere il talento tecnico ed discorso de "il potevo farlo anche io" si ridimensiona notevolmente. É anche evidente che il carico di significato e contenuto nel caso della "colomba" non è minore, anzi, è semplicemente espresso con un gesto ridotto al minimo favorendo il concetto alla forma, e solo se sai partire dalla comunione arrivi alla colomba: tra i due dipinti ci sono 65 anni di essenzializzazione, di togliere e ridurre passando per periodo blu, periodo rosa, periodo africano, cubismo (sintetico ed analitico), i papiers collés ed altro, tutto affinchè resti il solo contenuto. Nel primo dipinto Picasso aveva 15 anni, nel secondo 80...

Premesso questo, torniamo alle tele bianche di Ryman; chi lo dice che il messaggio è proprio quello e non si tratta di un artista incapace di dipingere? Spesso sono già gli autori stessi a svelare quali messaggi esprimono le loro opere. Come faceva, per esempio, l’italo-argentino Lucio Fontana.


Salvador Dalí "la persistenza della memoria" - 24 cm x 33 cm - Museum of Modern Art

Altri artisti, invece, sono scoperti e interpretati dai critici. Come Duchamp: si rifiutò sempre di spiegare il senso delle sue opere, limitandosi a dire che oggi l’arte è banalità. Il suo successo, quindi, è venuto dall’interpretazione dei critici. Il catalano Salvador Dalì faceva di più: presentava un’opera enigmatica e poi si divertiva a sconfessare le interpretazioni dei critici, per poi spiegare che la sua era Il metodo paranoico-critico è una tecnica da lui concepita usata nelle sue opere soprattutto pittoriche che coinvolgano le illusioni ottiche ed altri tipi di immagini multiple. Esso permette al pittore di conoscere i fenomeni causati dal delirio e quindi di valutarli e interpretarli per poterli poi raffigurare sulla tela. Le scene che l'artista dipinge sono inventate dall'incomprensibile agitarsi del suo inconscio; non c'è nulla di reale, di ideale o di tangibile, sono proiezioni inconsce. Queste immagini e forme possono essere rappresentate nel dipinto solo se l'artista si immerge nel delirio e nella pura follia della paranoia, emergendone con dei contenuti razionalizzati.


Daniel Hirst - The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living, 1991

(L'impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo - Squalo tigre)

Insomma, il senso dell’arte, oggi, è tutto da cercare. E spesso non c’è una risposta univoca perché una stessa opera può suscitare emozioni diverse. Torniamo a Damien Hirst (1965): mette in mostra uno squalo vero conservato in formalina. Accanto a chi ne apprezza la forza spiazzante, ci sarà anche chi ne è disgustato. Ma resta comunque colpito.In definitiva, oggi è arte ciò che, in varie forme, esprime quello che siamo. Gli arazzi del senegalese Brahim El Anatsui (1944), fatti di tappi e oggetti metallici, sono l’equivalente delle stoffe preziose rinascimentali: la società di oggi vuole materiali fatti in serie e deperibili. Il messaggio è: oggi tutto dura poco.


Brahim El Anatsui - Dusasa I, 2007 - cm 762 x 609,6 - 52° Biennale di Venezia

(Alluminio, tappi di bottiglia e filo di rame)


Nel 1998 l’americano Joseph Kosuth (1945) presentava insegne luminose con scritte apparentemente senza senso, tipo “What does it mean?” (“Che cosa significa?”). Ovvero: molte cose che facciamo oggi (lo shopping compulsivo, il traffico…) non hanno senso.


Joseph Kosuth - Four Colors Four Words, 1966


In Mozzarella in carrozza (1968) Gino De Dominicis (1947-1998) ha esposto, letteralmente, una mozzarella in una carrozza nera di fine Ottocento. Arte o una provocazione gratuita? Nella risposta a questo sta il tema: elevando un latticino a oggetto d’arte, il messaggio è che la nostra società si crea miti di carta, glorifica soubrette, paparazzi, finti opinionisti. Quindi, perché stupirsi se un artista mette una mozzarella in vetrina e non in un autentico capolavoro?


Lo faceva anche Caravaggio: con i suoi visi contorti dal dolore voleva dimostrare che la società non era fatta solo da re e nobili, ma anche da ubriaconi e prostitute. La mozzarella in carrozza di De Dominicis, mettendo in mostra la banalità, ci fa ridere ma al tempo stesso denuncia che tutti siamo schiavi della banalità, delle frasi fatte.


Hieronymus Bosch "La nave dei folli" c 1500-1510

Ma non è solo denuncia. Queste opere sono arte perché trattano gli stessi temi universali affrontati dai grandi del passato. La Merda di Artista di Piero Manzoni (1933-1963) fece scalpore nel 1961. Scopo? Mostrare la realtà cruda, come Caravaggio.

Nel XV secolo il pittore fiammingo Hieronymus Bosch dipingeva frati e suore in atteggiamenti ridicoli per denunciare il degrado della spiritualità. Ne 2003 lo scultore peruviano Jota Castro (1964) ha presentato Habemus Papam, una croce di alluminio cinta da una corona di dollari. Non è solo una provocazione, ma vera arte: c’è l’idea, l’impatto visivo, l’innovazione.


Lucio Fontana - Concetto Spaziale, 1959

Altre volte, quello che sembra un errore è in realtà un messaggio profondo: Lucio Fontana (1899-1968) tagliava la tela con solchi profondi. Una stupidaggine? No. Un’altra rivoluzione: così la pittura acquisiva una terza dimensione andando a fare concorrenza alla scultura, divenendo materia. Il taglio sulla tela è la conquista dello spazio: si va oltre la tela, mostrando una superficie che altrimenti sarebbe rimasta invisibile. E’ l’arte concettuale perché esprime un’idea, Ed è arte perché nessuno l’aveva fatto prima.

Oltre a essere diventata concettuale, l’arte è sempre più spettacolo. Christo (1935) & Jeanne-Claude (1935) , per esempio, sono diventati famosi per aver impacchettato, con teloni di plastica, edifici famosi (ha recentemente ha creato una passerella sul lago d'Iseo) la loro arte consiste nel lasciare un segno sul territorio.


Christo & Jeanne Claude - Pont Neuf - Parigi, 1985


Richard Long (1945), altro esponente della Land art [04] (l’arte che agisce sul paesaggio), si esprime così: fa lunghe passeggiate in territori disabitati e lascia qualche traccia, per esempio una fila di pietre.


Richard Long - "screen shot" 2011


Qui l’arte consiste in una denuncia sociale: la natura è spesso sopraffatta dall’arroganza dell’uomo. Il californiano Walter De Maria (1935) era andato oltre, nel deserto del New Mexico, ha sfruttato i temporali per creare uno spettacolo di luce con i fulmini caduti su 400 pali metallici appuntiti. Scopo della Land art, scriveva il critico Gillo Dorfles, non è tanto “imitare la natura, ma integrarsi ad essa”.


Walter De Maria - The Lightning Field, 1977


Un altro aspetto, in apparenza assurdo, dell’arte oggi è l’uso del corpo, iniziato dal gruppo dadaista, nato in Svizzera ai primi del ‘900. Artisti come il rumeno Tristan Tzara - pseudonimo di Sami Rosenstock (1896-1963) o il francese Hans Jean Arp (1887-1966) improvvisarono performance provocatorie facendo irruzioni nei teatri e recitando a braccio.

Yoko Ono, artista newyorchese, nel 1966 presentò una opera costituita da una vera mela posata su di un parallelepipedo di plexiglass; la mela ovviamente con il tempo progressivamente marcì ed è in questo progressivo ed ineludibile disfacimento che diviene "spettacolo" che sta il senso dell'opera stessa riferita alla città di New York (the big apple); quest'opera ed il suo messaggio, pare le valse l'attenzione di John Lennon.


Yoko Ono, "Apple", 1966; Piedistallo in plexiglass Apple con placca in ottone; Collezione dell'artista

Con l’Action Painting, pittori come Paul Jackson Pollock (1912-1956) hanno compiuto un’evoluzione: l’artista dipingeva col proprio corpo, nel caso di Pollock ballando sulla tela e facendo sgocciolare il colore al ritmo di danze indiane.


Paul Jackson Pollock... al lavoro


Negli anni ’60, il tedesco Joseph Beuys (1921-1986) passò tre giorni in una gabbia con un coyote. Con I like America & America Likes Me (1974), messa in scena alla galleria di René Block, a New York, l’artista si ricoprì di feltro e trascorse ore insieme all’animale, per lui simbolo di un’America primitiva e non ancora contaminata dal consumismo.

Joseph Beuys - I like America & America Likes Me, Performance Art, NYC, New York, USA, 1974


A stabilire oggi quello che è arte è anche il giro di “mercanti, critici e galleristi che selezionano le opere, stabiliscono le tendenze e creano i casi”. Mesi fa presso la casa milanese "Il Ponte', un barattolo con 30 grammi di feci è stato venduto a 275 mila euro quando 4 anni prima da Sotheby’s la stessa era stata aggiudicata per 124 mila. Era uno dei celebri esemplari di Merda d’artista di Piero Manzoni (1933-1963), che nel 1961 inscatolò le sue feci per lanciare un messaggio dissacrante: il vero artista, oggi, non è quello che sa disegnare perfettamente un albero, ma quello che riesce a vendere anche i suoi escrementi. Ciò che vale non è il contenuto della scatola, ma il suo messaggio, come non Caravaggio non è i colori con cui è fatto, ma la sua espressività legata ai suoi tempi.


Piero Manzoni - Merda d'Artista, 1961

Come ridurre il valore di un’opera di Leonardo da Vinci alla sua perfezione tecnica e stilistica, dimenticando il contenuto ed il coinvolgimento che provoca non ha senso, così non dobbiamo ridurre un’opera di oggi ed il suo valore (anche economico) agli aspetti tecnici, perchè spesso dipende da fattori esterni all’opera d’arte in quanto tale. Oggi, si cerca non tanto il talento tecnico quanto “il fenomeno”: ciò che riesce ad attirare l’attenzione del pubblico trasmettendo un senso, un messaggio. Poi critici e mercanti d’arte gonfiano il caso, facendo lievitare le quotazioni dell’artista.


In questo sistema così fluido, quante volte rischiamo di trovarci di fronte a bufale? Tante, in effetti, per distinguere il Kitsch (termine usato per definire oggetti di cattivo gusto) sublime dal kitsch-e-basta c’è una regola: dobbiamo guardare un’opera con innocenza, come se fosse la prima volta. Ciò che conta è che non ci lasci indifferenti. Ma per formarci un gusto è essenziale guardare molte opere. Anche perché le tradizionali categorie bello/brutto non valgono più.

In estrema sintesi, come abbiamo accennato prima, nell'arte contemporanea il ruolo del pubblico è essenziale all'opera stessa, alla sua stessa esistenza. Il vero "prodotto" dell'arte contemporanea non è tanto l'oggetto in se, ma l'effetto che questo crea nello spettatore, la sua capacità di suscitare emozioni, riflessioni, domande, discussioni e perchè no anche ripulsa. Ciò che si intende suscitare non è ammirazione, estasi, ma riflessione non sull'opera ma su noi stessi.


Volete una definizione universale di opera d'arte? Io non la ho perche probabilmente non c'è, ma vi offro questa riflessione: un'opera è arte in funzione delle quantità e qualità che sa raccontare. Questo spiega anche il perche le opere del passato vengono continuamente rilette, le storie che un'opera racconta sono evidentemente legate ai linguaggi dell'uomo e delle epoche a cui si rivolge. Un'opera è tale se sa conservare nel tempo la capacità di comunicare pur rimanendo inalterata anche al mutare dei linguaggi dell'uomo che evolve continuamente. Ci sono altri parametri: un’opera deve far riflettere, sorprendere, stimolare, divertire. Un tempo il bello era l’armonia ideale, oggi questo sogno si è infranto perché nessuno crede più in una verità unica e universale. Oggi il bello è relativo, soggettivo e riflette le contraddizioni del mondo, il nostro e non quello di Caravaggio.

 

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